Salvini, lo “zaretto” di periferia

Se la politica italiana nel secondo dopoguerra ha indiscutibilmente qualcosa di cui vantarsi, lo deve alle scelte fondamentali di campo a livello internazionale. L’opzione occidentale, l’adesione alla Nato, la progressiva costituzione dell’Europa, l’apertura verso i Paesi Arabi, la disponibilità al dialogo con tutti nella chiarezza e nel rispetto dei diritti umani rappresentano un curriculum di altissimo livello per un Paese, oltre tutto, uscito sconfitto e distrutto da una guerra, scatenata quale ultimo anello delle nefandezze nazifasciste. Merito soprattutto della Democrazia Cristiana e dei suoi alleati di governo.

La cosiddetta seconda repubblica cominciò a sbandare per le zigzaganti e demenziali tattiche berlusconiane verso Putin e Gheddafi, per gli assurdi protagonismi di un centro-destra alla ricerca del freddo per il letto in Europa e nel mondo. Messo finalmente a tacere Berlusconi, che ci aveva trascinato nel ridicolo, si sperava in un ritorno alla normalità nei rapporti internazionali e in effetti i cinque anni di governo guidato da uomini del PD hanno restituito all’Italia considerazione e ruolo.

Secondo i politologi (come i meteorologi non ne azzeccano una), sarebbe iniziata, con le elezioni del marzo scorso, la terza repubblica, ancora tutta da scoprire con l’ansia e la preoccupazione del caso. I vincitori usciti dalle urne, in qualsiasi modo riescano a trovare la quadra, si presentano in modo equivoco di fronte agli scenari di politica estera. Non si capisce quale sia la linea nei confronti dell’Unione Europea, che oscilla tra un deciso antieuropeismo, un oscuro scetticismo, un assurdo orgoglio nazionalista, un formale e debole possibilismo. Vi è poi un acritico ed ammiccante appiattimento populista sulle strategie trumpiane, che non riesce a guardare molto più in là dell’identità del proprio naso.

Il punto più inquietante è tuttavia l’atteggiamento simpatizzante verso la Russia di Putin, o meglio sarebbe dire, verso Putin. Salvini e Le Pen si accreditano come interlocutori populisti di questo macellaio comunista, riciclato in salsa autoritaria. Ho ascoltato autorevoli esperti di storia contemporanea definirlo non tanto populista, ma zarista, vale a dire un personaggio che governa come monarca assoluto in patria, come imperatore a livello internazionale, come spietato e autoritario leader a vita, come capo di una vera e propria mafia di potere.

Cosa ci possa essere di interessante e di positivo nei rapporti con questo “zar” non è dato capirlo: fatto sta che Salvini, nel suo folle ed ignorante protagonismo, ammantato di vuoto pragmatismo, non perde occasione per dare autentiche “leccate” a Putin e per distinguersi al riguardo dagli altri Paesi Europei. I grillini, a livello internazionale e non solo, ci hanno abituato ai loro irresponsabili traccheggiamenti spacciati da pacifismo strisciante, mentre in realtà sono soltanto opportunistiche e squallide posizioni omertose. Un tempo esistevano dei punti irrinunciabili nella politica estera, oggi tutto sembra in discussione, non tanto per i profondi cambiamenti avvenuti con la globalizzazione del sistema, ma per le faziose incertezze di aspiranti governatori.

Vorrei capire cosa c’entri l’incidente diplomatico creato dallo sconfinamento della dogana francese con il durissimo scontro Russia-Occidente in materia spionistica. Eppure Salvini sostiene che piuttosto di espellere eventualmente i funzionari dell’ambasciata Russa, sarebbe meglio espellere l’ambasciatore francese. Si dichiara sbrigativamente contrario a sanzioni verso Mosca, ritenute assurde e foriere di danni alla nostra economia, senza un minimo di considerazione per i Paesi alleati, che stanno portando avanti una politica di duro scontro con Putin. Non esistono regole ed alleanze, ognuno, come sostiene Trump pensa per sé.  Il tutto si potrebbe interpretare come il delirio di un politicante da strapazzo, se questo signore non fosse in predicato di governare, solo o in pessima compagnia, lo Stato italiano.  Forse gli elettori italiani hanno confuso l’Italia con una penisoletta padana ad ispirazione elvetica. Forse gradiscono una “zaretto” purchessia, che dia loro la triste illusione di fare grande il Paese, secondo schemi tragicamente superati dalla storia