Il forno inceneritore della politica

Il Presidente della Repubblica, in vista della formazione del nuovo governo post-elettorale, sta svolgendo egregiamente il suo compito, non di notaio o arbitro, ma di garante della corretta politica nelle Istituzioni. Al termine del primo giro di consultazioni ha spiegato con chiarezza ed obiettività come si prospetta la situazione: non avendo nessun partito o raggruppamento fra partiti la forza parlamentare necessaria per esprimere e sostenere un governo in solitario, occorre formare una coalizione partendo dal dialogo sui contenuti e così trovando le eventuali necessarie convergenze. Ha invitato quindi ad effettuare questa ricerca ed a prospettargli quella formula di governo che possa avere la fiducia del Parlamento.

Nella cosiddetta prima repubblica questo era il metodo adottato per garantire un governo di coalizione al Paese e, seppure con una certa fatica, si riuscivano a trovare gli accordi, non sempre duraturi e magari piuttosto instabili, sulla base dei quali si gestiva il potere esecutivo. Il compito di perseguire ciò era soprattutto della Democrazia Cristiana, partito di maggioranza relativa che, dialogando con le altre forze, trovava i compromessi da mettere alla base dei governi del Paese.

Questo metodo la DC lo adottò anche nei momenti in cui avrebbe potuto fare a meno di alleanze, in base alla convinzione che più larga e rappresentativa è la maggioranza di governo e più esistono i presupposti per affrontare e risolvere i problemi. In certi momenti la DC, tramite i suoi più spregiudicati e manovrieri esponenti (Giulio Andreotti), arrivò persino a ipotizzare la cosiddetta regola dei “due forni”, intendendo con ciò come essa fosse disponibile a dialogare ed accordarsi ora con l’uno ora con l’altro sulla base di intese di programma, ma anche di spartizioni del potere. In altri momenti sempre la DC, tramite il suo esponente più illuminato e lungimirante (Aldo Moro), elaborò l’ipotesi delle “convergenze parallele”, su cui si tende oggi a fare inutile ironia: quel discorso infatti, tramite una paradossale espressione geometrica, voleva significare come la politica non sia una scienza esatta e come si possano trovare convergenze su alcuni punti programmatici pur partendo da visioni ideologiche e politiche diverse. Io l’ho sempre intesa come ricerca del compromesso ai livelli più alti possibili nell’interesse del Paese, il cui esempio emblematico resta la Costituzione Italiana.

Perché oggi è così difficile, al limite dell’impossibile, cercare e trovare seriamente accordi fra le forze politiche? Perché la politica non è alla base di esse: questo è il vero ed iniquo paradosso, non quello delle convergenze parallele di cui sopra. Questa è la causa per cui persino la teoria dei due forni diventa ridicola, inapplicabile ed assurda. Di alcuni partiti la sostanza è costituita dall’antipolitica e la loro identità e costruita prevalentemente sull’aprioristica e violenta contrapposizione con gli altri, sulla scorta di una pregiudiziale inimicizia con le altre formazioni e/o con esponenti di tali formazioni. Dopo di che la ricerca di accordi diventa l’inciucio, la spartizione delle poltrone, la gestione del potere risulta fine a se stessa: senza politica non si può fare politica. Mattarella ha provato a spiegarlo agli attuali protagonisti, ma molti di essi, probabilmente i più votati dai cittadini, non sono culturalmente attrezzati per un simile discorso, per cui egli rischia di far del bene agli asini e di averne in contraccambio dei calci.

Non è credibile e agibile la improvvisata e pretestuosa disponibilità del M5S a confrontarsi alternativamente col PD o con la Lega. Non è nella mentalità, nella prassi e nel metodo dei grillini e del loro elettorato. È solo l’alibi per poter dire un domani: noi ci abbiamo provato, gli altri si sono rifiutati. Ricordo una volta in cui, durante l’assemblea di una cooperativa che stava modificando lo statuto, un socio propose di inserire una clausola eccessiva di gradimento, la quale svuotava sostanzialmente di significato il principio della porta aperta. Il notaio cassò quella proposta portando ai soci un esempio assai eloquente. Disse, cito a memoria: «Non si può scrivere che per diventare soci di una cooperativa occorre saper fare un doppio salto mortale…». Luigi Di Maio non può fare preventivamente le analisi dell’onestà e della rettitudine degli interlocutori per poi sceglierli e interpellarli: questa non è politica, questa è antipolitica, motivata magari da intenzioni populisticamente apprezzate, ma obiettivamente paralizzanti.

Non si può trattare l’avversario come un nemico sul piano etico e poi provare a discutere di contenuti. Non si possono mettere sullo stesso piano forze diametralmente opposte, dicendo “questa o quella per me pari sono”. Anche l’ardita metodologia dei “due forni” rimaneva pur sempre in un ambito di interlocutori con i quali esisteva un minimo ma importante zoccolo duro comune a livello di scelte fondamentali.  Oggi più che di due forni in cui cuocere il pane politico, credo si possa parlare di forno inceneritore della politica. Operare come sta facendo scriteriatamente il M5S potrà anche consentire di giungere ad un superamento dell’impasse (ho molti dubbi…), potrà portare alla conferma ed all’allargamento dei consensi nel breve periodo, ma gli inciuci squalificheranno e indeboliranno ancor di più le prospettive nel medio e lungo periodo, i problemi rmarranno irrisolti ed il quadro sempre più compromesso. A Mattarella temo non resti altro che continuare a predicare nel deserto. Predica oggi, predica domani, chissà…