Il cielo in uno stanzino

Lo dico per me, ma credo valga per molti: la soverchiante e petulante attenzione alla cucina politica italiana, così piccola ed asfittica, distoglie la mente dai gravi problemi del mondo, si chiamino guerra dei dazi, guerra vera e propria, avvenire dell’Europa. Anche l’Unione Europea, l’asset a noi più vicino, viene vista o con gli occhiali nostrani dei problemi di bilancio o con quelli scettici dei nostri aspiranti leader. Ci stiamo chiudendo in un cantuccio dove i nani Salvini e Di Maio sembrano giganteggiare, dove non si parla che dei deliri di onnipotenza di questi squallidi personaggi, dove l’universo sembra ruotare attorno alle impacciate consultazioni del Quirinale.

Nella vita quotidiana si è soliti cercare di volare basso per non sfuggire alla realtà, mentre in politica, se si vuole rimanere agganciati alla realtà, bisogna volare alto. Il punto dolente del recente risultato elettorale è questo: gli italiani hanno paradossalmente preferito stare con i piedi per terra correndo dietro ai sogni di piccolo cabotaggio, finendo con l’inchiodare la politica agli sterili umori dell’uomo della strada.

Nel nostro Paese stiamo riuscendo a imprigionare i sogni di pulizia e giustizia, parcheggiandoli nel cassetto delle illusioni dei mestieranti, a banalizzare, rendendole facili ma impossibili, le soluzioni ai problemi difficili. Abbiamo imboccato una strada pericolosa, a senso unico: non esiste deviazione agibile. Occorrerebbe tornare alla politica dei valori, ma li abbiamo svenduti per convenienza o per paura, sarebbe necessario rivisitare gli ideali, ma li abbiamo subordinati alla protezione dei nostri interessi e dei nostri confini, urgerebbe un colpo di reni, ma ci stiamo accontentando della piatta e comoda protesta contro tutto e contro tutti, bisognerebbe impegnarsi nella vita politica, mentre invece confondiamo popolarismo con populismo, onestà con violenza verbale, partecipazione con un clic a comando.

Quando sento e leggo fiumi di parole sulla strategia dei Di Maio e dei Salvini, gli attuali playmaker della politica italiana, ripenso al gustoso episodio calcistico riportato da mio padre. A un arbitro, che ne stava combinando di tutti i colori, si avvicinò spazientito un giocatore e gli chiese conto del suo operato con una domanda a dir poco provocatoria: «Scusi, ma lei è arrivato qui mandato dalla federazione o è venuto ad arbitrare di sua iniziativa, per passare il tempo?». Squalifica pesantissima per quel calciatore, che probabilmente aveva detto la verità in modo sarcastico.

Ci sarebbe da porre analoga domanda agli attuali spericolati bambocci sulla scena post-elettorale. Loro però potrebbero vantare un preciso e consistente mandato popolare e la legittimazione del voto ottenuto in grande quantità. Al che si potrebbe controbattere: ma guardate che i cittadini vi hanno chiesto di governare, non di giocare al dottore con le istituzioni. Il discorso non finirebbe più. Sembra che il Presidente Mattarella li abbia invitati a partire dai contenuti, a non andare fuori tema, a fare proposte sensate e agibili, forse non a volare alto, perché gli asini non volano, ma almeno a guardarsi intorno e a non impantanarsi in veti incrociati e in rivendicazioni fanciullesche. Le risposte (non) arriveranno. In fin dei conti gli italiani hanno dimostrato di non volere risposte plausibili, ma di accontentarsi di battute incredibili e chi si contenta gode.