Governo a partiti alterni

Tutti i giorni, anche per idiote pompate mediatiche, nasce l’ipotesi di un nuovo governo diversa da quella del giorno precedente. Il M5S, oltre ad avere raccolto una notevole messe di consensi elettorali, è abilmente riuscito a conquistare il centro della scena e lo mantiene lanciando improbabili proposte di accordo a destra e manca. Il sistema politico ruota attorno ai grillini: non avrei mai più pensato che l’Italia potesse cadere così in basso. La lunga parentesi berlusconiana, pur interrotta qua e là, mi aveva culturalmente sfiancato; sembrava nel 2011 che l’aria fosse definitivamente cambiata, ma siccome le disgrazie non vengono mai da sole, ecco spuntare il grillismo, prima sottovalutato e visto come un diversivo (un simpatico amico di mio padre sftrafalcioneggiava confondendo il diversivo col detersivo), poi accolto effettivamente come un detersivo per pulire il sistema politico, poi rilanciato come risposta populista alle proteste della gente, poi usato come sfogatoio o sfigatoio dell’antipolitica, poi preso veramente sul serio e beneficiato di un largo consenso elettorale, che lo ha consacrato come protagonista politico di una fase storica, sconclusionata, ben lungi dal concludersi senza vittime.

Il pendolo grillino un giorno va verso il centro-destra a trazione leghista, un giorno verso il PD a trazione antirenziana, non mi stupirei se il M5S arrivasse a chiedere udienza a Berlusconi e il giorno successivo a fare ammenda con Renzi. Tutto a loro è concesso come se niente fudesse. Ma oggi mi va di prendere in considerazione il gran busillis del Partito democratico: ruolo di opposizione? voglia di ritornare a respirare aria governativa? cura ricostituente dai banchi della minoranza? ritorno in campo per non perdere la condizione atletica? sdegnosa e orgogliosa attesa del cadavere altrui? paura di perdere quel treno che potrebbe non passare più? gran rifiuto fatto per viltà identitaria? battuta di sacrificio operata per smuovere la classifica che piange? Sono le domande con cui il PD viene continuamente sollecitato e persino corteggiato da chi, dopo averlo disprezzato, ora sembra disposto a comprarlo.

Il PD non deve imprigionarsi nella diatriba, piuttosto autoreferenziale, consistente nel dubbio amletico se per recuperare identità, ruolo e considerazione sia meglio un bagno rigenerante all’opposizione o una magnanima disponibilità ad assumere qualche responsabilità di governo nonostante la consistente perdita di consenso alla propria leadership, alla propria linea politica, alla propria esperienza di governo. Forse varrebbe la pena partire dagli interessi del Paese: serve in tal senso e in questa fase un impegno del PD? Non è tanto questione di baciare o meno il rospo grillino, di atteggiarsi, come sta facendo forse Matteo Renzi, a pseudocincinnato o di arrendersi al buonismo di una sinistra che non esita a tagliarsi i…per far dispetto alla moglie, di fare il bel gesto di generosa disponibilità ante litteram o di chiudersi in casa a leccarsi le ingiuste ferite.

Il PD deve fare politica, vale a dire verificare oggettivamente se esistano o meno le condizioni per uscire dall’isolamento in cui sembra averlo messo il responso elettorale. Il PD è cioè compatibile con le prospettive governative che si stanno profilando? Esistono margini di dialogo costruttivo con le altre forze politiche? Ci sono spazi per un compromesso ai livelli più alti? Considerata la storia, la vocazione, la cultura e l’esperienza di una sinistra di governo come il PD, non vedo sinceramente spiragli di luce all’orizzonte oscurato dalle nubi grilline e leghiste. La parola che meglio esprime la posizione del Partito democratico è incompatibilità con il resto delle forze parlamentari così come uscite dalla consultazione elettorale. Un tempo, a livello matrimoniale, ci si separava per incompatibilità di carattere e dietro questo motivo se ne nascondevano dei ben più importanti e imbarazzanti. Nel caso del PD l’incompatibilità è molto profonda e non è sanabile con un generico, precipitoso e opportunistico armistizio. Vale la pena prenderne atto, smettendo di litigare al proprio interno, recuperando capacità di dialogo, d’iniziativa e di selezione della propria classe dirigente. Fare politica non vuol dire automaticamente partecipare al governo del Paese: oggi prevale e viene prima la necessità di rispondere da sinistra ad un mondo che cambia ed ha bisogno di sinistra, non per cavalcare demagogicamente le frustrazioni della gente, per riciclare slogan o per agitare anacronistiche bandiere,  ma per rispondere concretamente ai bisogni di una società cambiata e che fa molta fatica a cogliere il debole messaggio della sinistra, coperto dal frastuono del populismo e dalle grida della destra estremista.