Gli urlatori del PD

Non mi sorprendono affatto le perplessità e le titubanze degli esponenti del Partito Democratico riguardo un’eventuale alleanza di governo con il Movimento Cinque Stelle. Al loro posto ne avrei ancor di più. Che mi infastidisce non sono quindi i dubbi più che legittimi su una simile operazione politica: l’affidabilità di una forza politica, che ha demonizzato il PD in questi anni e che improvvisamente vuol dialogare e scendere a patti col diavolo, è certamente molto discutibile; la compatibilità del programma pentastellato con quello del PD appare decisamente problematica; la concezione della politica e della democrazia non sono affatto omogenee in queste due forze. Aggiungiamo pure che per i democratici una simile operazione appare elettoralmente poco opportuna, se non addirittura controproducente e foriera di ulteriori perdite di consenso.

La gara è certamente molto dura, ma tuttavia non sopporto la smania di protagonismo di tanti piddini, i quali sparano immediatamente i loro “no” a prescindere, scavalcando il già precario gruppo dirigente, peraltro guidato da un segretario molto serio ed equilibrato, Maurizio Martina, al quale in troppi parlano nella mano in attesa di aprire, quanto prima, una nuova fase congressuale, che appare quanto meno precipitosa. In questo senso è molto deludente l’atteggiamento rissoso di Matteo Renzi: l’ex segretario non ha la pazienza e l’umiltà di farsi momentaneamente da parte. Deve imparare dalla storia democristiana in cui il dibattito interno era spesso teso al limite della conflittualità, ma nei momenti topici si sapeva rimanere uniti e chi veniva da una sconfitta aveva il buonsenso di mettersi da parte. Ricordo Aldo Moro: quando la linea del partito si era fatta per lui inaccettabile, seppe andare in minoranza, farsi da parte e per un po’ di tempo fece politica con gli editoriali pubblicati sul “Giorno”. Altri tempi, altra autorevolezza, altro carisma, altro senso politico.

Sì, perché è proprio il senso politico che manca agli urlatori del PD. Si calmino, affrontino la situazione con spirito di servizio verso il Paese, stiano uniti, facciano un passo alla volta e poi ne discutano pacatamente negli organi di partito, senza lacerazioni, e decidano motivatamente sul da farsi. Gli elettori capiranno, anche perché non hanno digerito le divisioni interne, che hanno buttato benzina sul fuoco delle difficoltà di un partito di sinistra, che fa fatica a coniugare solidarietà e sicurezza, uguaglianza e competizione, lavoro e impresa, etc. etc.

Occorre un bagno tonificante per recuperare un disegno politico, che vada oltre la frettolosa, immediata e quindi impossibile riconquista del consenso e punti su una strategia di medio termine. I sì e i no buttati alla viva il parroco non mi convincono. C’è qualcuno che minaccia l’uscita dal partito nel caso in cui si dovesse fare un’alleanza col M5S: non si può stare in un partito con simili atteggiamenti ultimativi. Recuperino tutti la calma e la serenità necessarie, non abbiano fretta, facciano politica senza l’accetta e con il fioretto. Non si facciano contagiare dalla sindrome del “bar sport”. Sappiano fare i calcoli mettendo davanti a tutto gli interessi del Paese: l’elettore capirà e apprezzerà in ogni caso. Nel momento in cui i grillini cominciano, forse, a fare politica, non ributtateli nel ghetto dell’antipolitica, rubando loro il mestiere: si vada almeno a vedere le carte prima di chiudere i giochi.