Al bar sport della sicurezza

In questi giorni pasquali, per i cospicui movimenti di gente a livello turistico, nonché per gli inquietanti risultati di indagini sul fenomeno terroristico, è venuto ancor più alla ribalta uno dei temi che condizionano l’approccio degli italiani alla politica, quello della sicurezza. Non è da sottovalutare, ma nemmeno da enfatizzare trasformandolo in vera e propria nevrosi da paura del delinquente in agguato. Il fenomeno della delinquenza va affrontato con lucidità e serietà. Attualmente i cardini su cui poggia l’analisi pressapochista da bar sport riguardano innanzitutto l’equivalenza “immigrato=delinquente”; in secondo luogo abbiamo la presunta impunità del delinquente, difficile da scovare e, una volta scovato, frettolosamente lasciato in libertà e, se mai incarcerato, trattato con i guanti e liberato con eccessiva magnanimità; in terzo luogo la mancanza di controllo e difesa a livello territoriale da parte delle forze dell’ordine e la conseguente necessità di allargare le maglie della legittima difesa.

Come noto, in campo meteorologico esistono la temperatura reale e quella percepita, che non coincidono quasi mai: la prima è oggettivamente rilevabile, mentre la seconda è influenzata da fattori più impalpabili, che tuttavia influiscono decisamente sulla sensazione complessiva. Questo discorso, almeno in parte, può essere riferito al tema della sicurezza, in cui mi pare giochino elementi assai poco reali, ma condizionanti.

I dati statistici sul fenomeno delinquenziale, visti nel loro andamento temporale e spaziale, se non erro, non giustificano assolutamente l’allarmismo dilagante. La tendenza a delinquere da parte degli immigrati sembra perfettamente in linea con quella degli italiani: a parità di reato, percepiamo però come più grave e devastante il comportamento di un delinquente africano rispetto ad un delinquente toscano.  Se proprio vogliamo andare su due terreni in cui la delinquenza degli immigrati prolifica, vale a dire la droga e la prostituzione, dobbiamo ammettere che la droga spacciata dagli africani è comprata e consumata da noi, che le prostitute di colore non sono sfruttate solo da loro connazionali senza scrupoli ma anche da italiani e soprattutto che sono italiani i loro clienti. E che dire delle condizioni di vita in cui releghiamo certe fasce di lavoratori immigrati, vittime di veri e propri racket organizzati e gestiti da italiani in doppio petto: se questi poveri diavoli finiscono per delinquere non è certo solo per colpa loro.

Non è vero che il carcere sia quel luogo di ricreazione che molti pensano, basti pensare a quanti suicidi avvengono dietro le sbarre. Una certa qual inerzia della magistratura è più percepita che reale: il magistrato infatti non può e non deve amministrare la giustizia facendosi guidare dalle paure dei suoi concittadini, ma dalla scrupolosa osservanza della legge. Non si può sbattere in galera il sospettato per stare tranquilli. Se andiamo poi sul discorso carcerario, dobbiamo sfatare un luogo comune: mettiamo la gente in galera e poi gettiamo via la chiave. Ho recentemente ascoltato un’acuta analisi di un avvocato penalista, il quale affermava come paradossalmente il discorso del carcere quale deterrente verso la delinquenza, funzionerebbe a condizione di condannare tutti all’ergastolo; diversamente, prima o poi il carcerato ritorna in libertà e, se non rieducato e recuperato, tornerà a delinquere con maggiore convinzione e spregiudicatezza. Si è sempre saputo e detto che il carcere è una scuola teorico-pratica di delinquenza. Bisogna quindi lavorare sul dettato costituzionale e puntare sulle pene alternative, sulle misure di rieducazione, su un sistema che non trasformi la certezza della pena in tortura del condannato.

E vengo al discorso della legittima difesa: vediamo negli Usa, dove il ricorso alle armi da parte dei privati cittadini è molto facile, cosa succede. Non possiamo trasformare le nostre abitazioni in fortini impenetrabili, diventeremmo noi per primi prigionieri di una simile impostazione. Non dobbiamo e non possiamo dare al cittadino una sorta di licenza di uccidere, ma solo la possibilità di difendersi in modo efficace ed equilibrato. Sono sicuro che chi è costretto all’autodifesa estrema porti comunque nella propria coscienza un segno: uccidere un nostro simile, anche il peggiore dei delinquenti, non è come sputare per terra. Cerchiamo di essere seri!

Usciamo quindi dal bar sport dove due più due fa cinque e torniamo alla realtà e alla politica, laddove so perfettamente che due più due non fa quattro, ma può solo cercare di avvicinarsi a quattro. Chi la racconta diversamente sa benissimo di mentire e chi la crede sa benissimo di sfuggire alla realtà e di illudersi sulla capacità degli asini a volare.