Salotti e cucine

Sono sinceramente stanco di ascoltare le superficiali analisi sociologiche sulla perdita di consensi della sinistra in tutto il mondo: in poche parole avrebbe rinunciato al proprio ruolo di interprete autentico dei bisogni popolari per rifugiarsi nella comoda e salottiera difesa dello status quo con qualche rigurgito di vitalità orientato solo al discorso dei diritti civili.

In effetti sono saltati molti schemi: quelli ideologici (comunismo e anticomunismo), quelli sociali (proletariato e borghesia), quelli pragmatici (i periodi di crisi alla sinistra che riesce ad imporre sacrifici, i periodi di crescita alla destra che consente gli affari), quelli religiosi (clericalismo e laicismo), quelli etici (onesti e corrotti), quelli culturali (intellighenzie sistemiche e intellettualismo organico), quelli economici (liberismo e statalismo), quelli internazionali (nazionalismo e mondialismo), quelli commerciali (protezionismo e libero mercato).

In mezzo a questo rimescolamento di carte l’elettore è confuso e tende a ripiegare su scelte contingenti, egoistiche e semplicistiche. Ha perso il senso della politica, aiutato peraltro dai fenomeni degenerativi della stessa: corruzione, affarismo, mediatizzazione. Fatica a trovare risposte complessive e strategiche: brancola nel buio e si accontenta pertanto di promesse immediate e roboanti.  Non ha tempo, voglia e strumenti per analizzare criticamente le proposte che gli arrivano e quindi sposa quelle apparentemente più risolutive, senza considerare che anche in politica “presto e bene stanno male insieme”. Le generazioni più attempate si creano le proprie opinioni sotto la guida televisiva (un finto pluralismo informativo fine a se stesso quando non prezzolato o pesantemente condizionato), le giovani generazioni giocano coi social e corrono a destra e manca senza valori di riferimento.

Il tutto avviene in un quadro globale o globalizzato, dove tutto sembra passare sulla testa delle persone che non riescono più a capire assetti e strutture e dove diventa spontaneo perdere la bussola dietro opachi equilibri internazionali, guerre continue, terrorismo dilagante, separatismi e nazionalismi risorgenti, disastri climatici. Dulcis in fundo la crisi economica che ha precarizzato il lavoro, automatizzato le produzioni, scombussolato le aziende e le loro localizzazioni, imposto sacrifici, divaricato ulteriormente la posizione di ricchi e poveri, creato il panico.

In questa situazione così complicata è normale che trovino udienza le forze politiche estremiste (quelle che propongono cambi sistemici) e populiste (quelle che strumentalizzano le pulsioni emotive della gente), mentre vanno in crisi i partiti tradizionali (i socialisti riformisti e simili nonché i liberal-conservatori). Il problema quindi non sta nella distrazione socialista, che guarda in alto anziché sporcarsi le mani in basso, ma nella difficoltà a recuperare il governo dei processi dando prospettive credibili alla gente. Non sarà un cammino in discesa e tanto meno breve: a livello mondiale si sta instaurando un regime, quello populista alla Trump, e per abbattere un regime occorre tempo, non si recupera il consenso in un batter d’occhi, cambiando frettolosamente le leadership e vendendo aria fritta (c’è già chi la vende a un prezzo imbattibile). Occorre che le persone ritornino a ragionare, riprendano il filo della politica da dove lo avevano abbandonato, tocchino con mano la debolezza del nuovo che non cambia nulla e ritornino ai valori fondanti e storici della democrazia rappresentativa (miglior sistema non esiste).

Per la sinistra non regge nemmeno l’illusione del recupero quasi ideologico: tornare ai vecchi schemi per mobilitare gli elettori di un tempo. I vecchi schemi sono saltati e gli elettori di un tempo chissà dove sono finiti. È la sciocca scorciatoia di libertà e uguaglianza (LeU), che non ha portato da nessuna parte, anzi ha creato ulteriore confusione e smarrimento. Non c’è quindi un problema di salotti da smantellare e di piazze da riempire, ma semmai di cucine da rimettere in funzione, di luoghi di dialogo da inventare, ossia di una mentalità da cambiare e di una politica da rifondare a livello di domanda e di offerta. Quando la mia famiglia si trasferì all’inizio degli anni sessanta del secolo scorso in una nuova abitazione, mio padre voleva prendersi qualche rivincita psicologica e annetteva importanza al salotto (stanza inesistente nelle abitazioni del tempo andato), mentre mia madre stava più coi piedi per terra e desiderava comunque una cucina comoda ed abitabile. Il tempo diede ragione a lei, perché la vita familiare si svolse soprattutto in quella stanza. Ma il problema non stava e non sta nella scelta della stanza: vale anche per l’appartamento della politica, senza illudersi che basti cambiare stanza per stare meglio. I sociologi si mettano il cuore in pace, occorre una nuova città, un nuovo quartiere, una nuova costruzione, una nuova abitazione.