L’antimafia viene dal basso

Cos’è la mafia? In senso classico si intende una qualsiasi organizzazione criminale retta dall’omertà e regolata da riti, legami familiari e percorsi iniziatici peculiari, che ciascun appartenente, detto affiliato, è tenuto a rispettare. Il tempo e lo spazio hanno tuttavia allargato il concetto e penso di poter definire la mafia come un modo di intendere il potere, sganciato da ogni e qualsiasi istituzione e capace di imporre un ordine basato sull’intimidazione e la delinquenza.

La recente giornata, dedicata alle manifestazioni in ricordo delle vittime delle mafie e per ribadire l’impegno a combattere la criminalità organizzata, mi ha portato ad alcune riflessioni. Innanzitutto ho provato un senso di debolezza, vedendo Davide (impersonificato da un meraviglioso don Ciotti) a capo di un giovanile esercito, che a gole spiegate ed a mani nude combatte decisamente contro un invisibile ma fortissimo Golia.

Proprio nello stesso giorno emergevano notizie che allargavano il discorso mafioso a livello planetario. Volendo parafrasare le definizioni di cui sopra si potrebbe affermare che la mafia si sta imponendo nel mondo bypassando i poteri istituzionali, istituendo legami fra gli Stati basati sulle mere convenienze, impostando in modo populistico i rapporti con le genti, ricorrendo spregiudicatamente alla guerra, tessendo alleanze puramente tattiche, facendo subdolamente valere la legge del più forte.

Prendiamo Putin e il suo trionfo elettorale in Russia: ha stravinto il sistema di potere mafioso, instaurato da questo macellaio comunista trasformatosi in dittatore populista, a cui (quasi) tutti rendono omaggio, che riesce a profetizzare in patria e a condizionare gli equilibri mondiali. La vicenda delle presunte esecuzioni spionistiche non è che la punta di un iceberg: le reazioni stizzite dei grilloparlanti inglesi ed europei farebbero tenerezza se non puzzassero di fumo negli occhi all’opinione pubblica.

L’ordine mondiale sembra essere manovrato in stile sostanzialmente mafioso: aggressioni, guerre, accordi vengono snocciolati in un clima di potere avvolgente ed opprimente. Donald Trump seduto a trattare familiarmente con i Sauditi: roba che evoca rapporti internazionali senza scrupoli e all’insegna del pelo sullo stomaco. L’indebolimento delle forze politiche democratiche, le ingiustizie e le contraddizioni della globalizzazione, i disastri del socialismo reale, la fine delle ideologie, la mancanza di autorevoli leader autenticamente democratici, i ritorni di fiamma del nazionalismo stanno comportando un progressivo assetto di potere ammantato di populismo e improntato allo stile massonico e/o mafioso.

Se il quadro a livello mondiale è, più o meno, questo, il discorso della lotta alla mafia si fa ancor più arduo. In fin dei conti non è forse un paradossale retaggio della liberazione post bellica la permanenza del potere mafioso nell’Italia meridionale? Gli americani ne presero atto ed in un certo senso utilizzarono quell’ordinamento parallelo per riportare alla normalità la situazione: scesero a patti con la mafia, così come i fascisti si vantavano di averla sconfitta, mentre l’avevano incorporata nel regime. Ecco perché sono convinto che il vero antifascismo sia stato quello dei resistenti, soprattutto quello delle sparute minoranze delle prime ore, quello zoccolo duro che seppe non piegarsi. Con quale convinzione pretendiamo che gli Stati combattano le loro mafie, se nei loro comportamenti internazionali adottano le stesse categorie di pensiero e di condotta!? Chiediamoci il perché di tante vicende rimaste sepolte nei meandri delle ragion di stato.

E allora? La risposta potrebbe essere di lasciar perdere, di rassegnarsi. Invece consiste proprio nel partire dal basso, non solo dalle istituzioni, ma dai giovani, dalle periferie, dalle parrocchie, dai gruppi, dalle scuole, dalla memoria delle vittime (i tanti testimoni, il cui sangue è assai fastidioso per le mafie, in quanto sconfigge la paura  e diventa l’esempio a cui riferirsi), creando un coraggioso  esercito disarmato di tanti piccoli Davide, che provochi e susciti la discesa in campo delle istituzioni sane o risanate dalle loro avanguardie, quelle che hanno pagato e rischiano di pagare un tributo di sangue, mettendole alla punta e  coinvolgendole, e capovolga pacificamente la logica del potere. Una sfida molto difficile che ha come protagonista iniziale e principale la cosiddetta società civile. Non le élite culturali, per lo meno non solo le élite culturali, ma la gente onesta capace di alzare la testa.  Quando sento invocare l’intervento dello Stato nella lotta alla criminalità organizzata, non mi illudo che possa bastare: non può essere una battaglia calata dall’alto, anche perché la forza delle mafie è quella di insinuarsi nei gangli istituzionali al fine di penetrare tutti gli ambienti e tutti i poteri, rendendoli omertosi osservatori o addirittura complici. Mi sono sempre chiesto: la mafia, per potente, furba e infiltrante che sia, non potrà affiliare tutti i cittadini? Qualcuno disposto a combatterla ci sarà. Non potranno uccidere tutti. Si tratta di partire di lì e di perseverare a questo livello.