Il funerale della politica

Ho seguito in televisione le sedute di apertura della legislatura alla Camera ed al Senato.  Ho vissuto strane sensazioni: l’impressione che il rito fosse stancamente estraneo alla storia della nostra giovane democrazia, che il Parlamento fosse molto lontano dalla mia sensibilità politica, che le tante facce nuove fossero le comparse di una pessima rappresentazione teatrale, che le facce vecchie fossero stanche ed esauste, che tutto si svolgesse in discontinuità con la nostra storia.

Nemmeno il discorso inaugurale di Giorgio Napolitano, ai limiti della correttezza istituzionale ma pur pieno di contenuti critici, riusciva a dare un senso a quanto stava accadendo e assomigliava a quelle omelie esequiali piene di richiami biblici, ma vuote di agganci alla vita del defunto. Ricordo quanto racconta un sacerdote amico: era stato chiamato a celebrare un funerale in una parrocchia che non era la sua. Ce la mise tutta e infatti alla fine della cerimonia i parenti gli si avvicinarono per ringraziarlo, ma non poterono esimersi dal rivelargli che lui aveva fatto riferimento ad un uomo defunto, mentre il morto era una donna. «Avrei voluto essere in Africa», ammette ancor oggi a distanza di parecchio tempo quel bravo e spiazzato sacerdote. Giorgio Napolitano assomigliava molto a quel prete: non è riuscito, nonostante gli sforzi, a dare un senso all’inizio di una legislatura che si preannuncia a dir poco sconfortante.

Ho avuto solo un brivido di emozione quando Roberto Giachetti, che presiedeva la seduta della Camera, nel suo discorso di apertura, prettamente istituzionale, ha ricordato in chiusura una frase eloquente di Marco Pannella. Per il resto un’aria mesta di circostanza, il funerale della politica! Negli studi televisivi, tra i commentatori dell’evento, teneva banco Paolo Cirino Pomicino, un chiacchierato esponente democristiano della cosiddetta prima repubblica, un personaggio che a suo tempo giudicavo male sul piano etico e su quello politico. Ebbene, a confronto col penoso quadro emergente, mi è parso un colosso.

Sia chiaro: non mi scandalizzo delle scaramucce per arrivare, prima o poi, bene o male, alla nomina dei presidenti dei due rami del Parlamento e nemmeno delle difficoltà quasi insuperabili che si vedono per la formazione del governo. Che mi sconforta e mi preoccupa è la mancanza di spessore culturale e politico dei contendenti, soprattutto di quelli che dovrebbero rappresentare il nuovo che avanza. Non vorrei che in me prevalesse la nostalgia tipica delle persone anziane, le quali aprioristicamente rivalutano il passato e screditano il presente. Può darsi…spero sia così. Se mai dovessi avere un po’ di ragione, si preannuncerebbero tempi duri. In questi giorni mi viene spontaneo tentare parallelismi fra i personaggi emergenti e quelli di un tempo: riscontro sempre e comunque un’abissale differenza in tutti i sensi con uno scarto incolmabile a danno dei parlamentari di oggi. I casi sono due: o la società è molto decaduta e la classe politica la rispecchia oppure la società snobba la politica e lascia fare agli urlatori della campagna elettorale. Ho riascoltato un commento saggio (un luogo comune che comunque può servire): la politica non dovrebbe rincorrere le spinte della società, ma dovrebbe raccoglierle, interpretarle ed orientarle verso il bene comune. Siamo alle aste ed ai puntini della politica e ciò significa che in Parlamento ci sono molti analfabeti.