Guai ai vincitori

La storia politica è piena di grandi personaggi provenienti da piccoli partiti e movimenti, quantità e qualità non vanno sempre d’accordo, i larghi consensi non significano automaticamente capacità di governo e nemmeno la garanzia di rappresentatività dell’elettorato. In democrazia, si dice, contano i voti; i voti si contano, ma si devono anche pesare; i voti vanno e vengono, ci vuole molta fatica e abilità per conquistarli, ma basta poco per perderli.  Se è vero che alle piazze piene spesso corrispondono urne vuote, è altrettanto vero che le urne piene possono portare a istituzioni vuote e inconcludenti.

In questo periodo, dal 04 marzo in avanti si è fatto un gran parlare di vincitori e vinti delle ultime elezioni politiche. I primi sono i leghisti e i grillini, i secondi i democratici e, per certi versi, i forzisti. Hanno vinto Di Maio e Salvini, hanno perso Renzi e Berlusconi: siamo poi proprio sicuri che le cose siano andate così? In politica due più due non fa quattro. La permanenza, a livello istituzionale, di un bicameralismo imperfetto e il sostanziale ritorno, a livello elettorale, ad un sistema proporzionale, complicano maledettamente le cose, privilegiano la rappresentatività rispetto alla governabilità, costringono a ragionare in termini di partiti e non di coalizioni.

I pentastellati col loro trenta e rotti per cento sono numericamente la prima forza politica, seguiti a notevole distanza dalla Lega con oltre il 18%, seguita a ruota dal Pd e più a distanza da Forza Italia. Il resto è paccottiglia di destra e di sinistra. Smaltita la sbornia dei dati elettorali, è cominciata la ricerca di equilibri politici a livello istituzionale, parlamento e governo. E qui sta cadendo l’asino. I grillini sono chiusi nella loro identità di primi della classe, non si vogliono contaminare, hanno raccolto consensi contro tutto e tutti; i leghisti fanno la voce grossa con i loro alleati, ma quando escono di casa si devono ridimensionare immediatamente; il PD si lecca le ferite con una certa fatica e tende naturalmente ad estraniarsi, puntando su una opposizione rigenerante; Forza Italia c’è rimasta male, ha sbagliato i conti, rischia la sudditanza verso i presuntuosi leghisti. Trovare la quadra è quasi impossibile. I partiti sono ormai in una logica identitaria e non sono in grado di cercare compromessi di livello in campo programmatico e non riescono nemmeno a spartirsi il potere. Si parla insistentemente di nuove elezioni a breve termine: i cani grossi pensano di mangiare i piccoli. E chi l’ha detto? Non sarebbe la prima volta che l’elettorato si pente e cambia voto, dopo aver visto e verificato sul campo il disastro provocato.

Le eventuali future e ravvicinate elezioni si terrebbero dopo un periodo di decantazione e di incertezza governativa, con i problemi che potrebbero infittirsi e ingigantirsi, con l’Europa alle porte che busserebbe a denari, con governi provvisori dalla stangata fiscale facile. Altro che flat tax e reddito di cittadinanza! Certe promesse elettorali troverebbero un brutto risveglio. La gente sarebbe costretta ad aprire gli occhi. Se non ci sarà sbocco di governo il tempo per rivedere il tutto a livello elettorale potrebbe essere di sei mesi e magari gli attuali vincitori riuscirebbero ancora salvarsi. Se diversamente ci sarà un governo con una maggioranza stramba e variegata, dominata da leghisti e grillini, ci vorranno due anni per mandare il Paese in malora e per scuotere gli elettori. Non mi sembra una passeggiata per i vincitori. Non vorrei fare l’uccello del malaugurio, applicando alla contingente politica italiana la storiella della ricottina, ma…