Chi semina bullismo raccoglie ingovernabilità

Fra i tanti commenti, letti ed ascoltati, sui risultati elettorali, mi ha molto colpito e coinvolto quello, peraltro indiretto ma assai centrato, del cardinal Gianfranco Ravasi, Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura contenuto nell’incipit di un suo articolo pubblicato su Jesus, il mensile dei Paolini, e intitolato “Una virtù impolitica”. Non mi piace mischiare sacro e profano, ho una concezione indiscutibilmente laica della politica, tuttavia mi pare che quanto scrive Ravasi sia profondamente, perfettamente e culturalmente azzeccato.

Egli così si esprime: “Hai un bel dire con Benedetto Croce che ‘la violenza non è forza ma debolezza, né mai può essere creativa di cosa alcuna ma soltanto distruggitrice’. Eppure la tentazione del ricorso alla forza non è solo nel fondamentalismo o nella guerra, lo è anche nell’aggressione verbale di alcuni politici, nel bullismo, nello stalking, nel femminicidio, nella quotidianità delle relazioni personali, familiari e sociali. (…) Il filosofo Norberto Bobbio nel suo Elogio della mitezza (1993) aveva celebrato questa virtù come la più «impolitica» e si può comprendere questa sua posizione nel contesto della gestione di una certa politica che ignora ogni compassione e si fonda sul potere e spesso sull’arroganza. In una visione più alta della politica la mitezza avrebbe invece uno spazio rilevante. Essa, infatti, non è né codardia né mera remissività, come osservava lo stesso filosofo: «La mitezza non rinuncia alla lotta per debolezza o per paura o per rassegnazione». Anzi, essa vuole essere come un seme efficace piantato nel terreno della storia per il progresso, per la pace, per il rispetto della dignità di ogni persona. Ma aspira a raggiungere questo scopo rifiutando la gara distruttiva della vita, la vanagloria e l’orgoglio personale e nazionalistico, etnico e culturale, scegliendo la via del distacco dalla cupidigia dei beni e l’assenza di puntigliosità e grettezza”.

Vedo in queste parole una fotografia nitida e implacabile della campagna e dell’esito elettorali. Chi semina il vento della vuota e bullistica politica raccoglie la tempesta della conclamata e disastrosa impossibilità a legiferare e governare. Qualcuno può dire che il discorso del cardinal Ravasi è di carattere etico: certo, ma proprio per questo mette sotto accusa il modo di far politica risultato vincente alle ultime elezioni. Qualcun altro osserverà come nella battaglia politica non possa trovare posto il monito evangelico del «porgere l’altra guancia»: la correttezza, la sincerità, la lealtà sono prerequisiti di qualsiasi proposta politica.

Qualcuno confonde la mitezza mediatrice politica con un atteggiamento salottiero, aristocratico e inconcludente, che sarebbe tipico di una sinistra radical chic, ben lontana dai problemi reali della gente, tutta compresa nella difesa dei diritti civili e lontana dai diritti sociali: occuparsi di testamento biologico, di unioni di fatto, di ius culturae vuol dire snobbare i bisogni popolari? Ma fatemi il piacere! Imporre gradualità e compatibilità alle riforme significa trascurare le esigenze dell’elettorato ruspante a favore di quello benestante? Promettere la luna al popolino è sempre stato il modo migliore per lasciare le cose come stanno a beneficio di chi vive nella bambagia. Affrontare i problemi con ragionevolezza e senso della misura squalifica la politica comportandone l’inerzia e l’irresponsabilità? Non è forse sbandierando e perseguendo l’orgoglio personale (tutto è legittima difesa), nazionalistico (prima noi poi gli altri), etico (immigrazione=delinquenza e terrorismo) e culturale (difendiamo prima di tutto la nostra identità) che si confina la politica al retrobottega della più retriva demagogia?

“Beati i miti perché erediteranno la terra” dicono le beatitudini evangeliche. Siccome la mitezza viene considerata debolezza e inconcludenza, mi permetto di parafrasare ironicamente e politicamente la beatitudine di cui sopra: “Beati gli arroganti perché erediteranno il potere…e non riusciranno nemmeno gestirlo”.