Attentato a Moro: una ferita inguaribile

Il 16 marzo 1978 la storia italiana prese una bruttissima piega che condiziona tuttora e condizionerà per sempre la nostra politica: finisce in quel triste giorno l’alta politica iniziata con la resistenza al fascismo e proseguita nel secondo dopoguerra con il patto costituzionale, con il progressivo allargamento dell’area governativa dal centro verso sinistra, con l’assorbimento parlamentare dei fermenti sociali, col dialogo tra cattolici e socialisti prima e comunisti poi. Ho citato quattro passaggi fondamentali della vita democratica del nostro Paese, di cui Aldo Moro è stato profeta, protagonista e vittima sacrificale.

La storia non si fa con i se, tuttavia se Moro non fosse stato rapito ed assassinato, non avremmo avuto il patto tra democristiani di retroguardia e socialisti dall’arrampicatura facile (è il Caf, il patto di potere fra Craxi, Andreotti e Forlani); il Craxismo non avrebbe conquistato la scena politica imprigionando la sinistra in un sinistro gioco di potere; la corruzione non sarebbe arrivata al punto da essere quasi istituzionalizzata trascinando la Repubblica nel gorgo dell’affarismo devastante; non ci sarebbe stato spazio per il berlusconismo e forse nemmeno per il leghismo e via discorrendo.

Perché? Moro aveva varato una strategia, di cui era l’indispensabile garante verso tutti, che puntava alla piena democratizzazione del PCI attraverso successive fasi di coinvolgimento a livello governativo, per arrivare all’alternanza tra le due forze democratiche fondamentali, quella cattolica e quella comunista, capaci di condividere i valori fondanti della nostra democrazia alla luce della Carta Costituzionale, ma in grado di interpretare diversi approcci governativi per una società in evoluzione. Di questa prospettiva strategica Moro era l’insostituibile pilastro: verso la DC ed il suo elettorato di cui intendeva mantenere l’unità e verso il partito comunista a cui voleva allungare in modo credibile e leale una mano di dialogo, condivisione, collaborazione e contrapposizione.

In vita aveva parecchi detrattori che tentavano di squalificarlo con le solite menate del politico ingarbugliato e logorroico, del governante ritardatario e perditempo, del personaggio opaco e fumoso. In realtà sapeva essere lungo nella visuale, paziente nell’ascolto e nel dialogo, complesso nelle analisi, deciso nei momenti topici, netto nei giudizi a costo di essere impietoso, scettico verso le sbrigative e semplicistiche generalizzazioni.

Non sapremo mai chi abbia veramente ispirato e realizzato l’attentato a Moro, certo chi lo fece aveva le idee chiare e intendeva interrompere irreversibilmente la suddetta strategia, che dava fastidio a molta gente a livello mondiale e nazionale: in molti avevano interesse a relegare la DC nella sterile bottega reazionaria e a confinare il PCI nella velleitaria piazza di pura lotta. Raggiunsero direttamente o indirettamente l’obiettivo e la storia prese un indirizzo diverso. Purtroppo il patrimonio fondamentale del cattolicesimo democratico e del comunismo dal volto umano non sono stati messi a frutto: ne sortì un bipolarismo assai imperfetto, che non ha retto alla prova dei fatti e che ci consegna ancor oggi un’Italia divisa e ingovernabile.

Ho un ricordo preciso del 16 marzo 1978: capii che stava succedendo qualcosa di grosso a cui bisognava rispondere rinserrando le fila, partendo dal tessuto civile del Paese, che rischiava una lacerazione profonda e inguaribile. A livello professionale avevo l’incarico di coordinare gli uffici che erogavano servizi amministrativi alle cooperative di ispirazione cristiana. Riunii, con il placet del direttore, tutti i colleghi e, se la memoria non mi tradisce, suggerii di reagire al terribile momento, partendo dal basso, dal lavoro, dallo svolgere al meglio la propria funzione, peraltro inserita in un mondo fortemente motivato dal punto di vista sociale ed economico. Nei momenti più difficili bisogna infatti aggrapparsi alle realtà forti, ai valori fondamentali: il lavoro è certamente questo. Era in gioco la democrazia e la democrazia si difende facendo innanzitutto ed onestamente il proprio dovere. Il resto è storia in cui fortunatamente non andò in crisi la democrazia che ne rimase tuttavia segnata indelebilmente: il cadavere di Moro, rannicchiato in quella Renault di colore rosso, mi dà ancora i brividi, mi commuove nel profondo della mia coscienza democratica e mi conferma nel senso politico che continua a caratterizzare la mia vita.