Italiani, razzista gente

«Se nel 2014 l’Italia era orgogliosa di salvare le vite dei rifugiati e considerava l’accoglienza un valore, oggi è intrisa di ostilità, razzismo, xenofobia, paura ingiustificata dell’altro non solo verso i migranti, ma anche verso rom e lgbt». Sono le ruvide e sferzanti parole di Gianni Ruffini, direttore di Amnesty international Italia, alla presentazione del Rapporto 2017-2018, che fa anche riferimento agli sgomberi forzati delle occupazioni in Italia. Il portavoce di Amnesty Italia, Riccardo Noury, a sua volta ha detto che preoccupa la politica di contenimento dell’immigrazione aggiungendo: «Stiamo voltando le spalle alla sofferenza, alle torture e alla schiavitù che accade in Libia».

Questa fotografia, un tantino ingenerosa (esistono anche migliaia di italiani che volontariamente prestano il loro contributo solidale ai migranti), mette comunque il dito nella piaga di una involuzione, che sta vivendo il nostro paese dal punto di vista etico, culturale e politico. I paesi dell’Est-Europa, usciti malconci e con le scarpe rotte dall’esperienza del socialismo reale, accolti con fin troppa fretta nella Comunità Europea ed aiutati nella loro ripresa socio-economica, tendono ad alzare barriere verso gli immigrati e i rifugiati provenienti dai paesi terzomondiali. Gli italiani, che hanno storicamente conosciuto il dramma e l’umiliazione dell’emigrazione, tendono a dimenticarlo e ad esprimere quei tristi sentimenti cui fa esplicito e impietoso riferimento Amnesty. Una sorta di ritardata sindrome rancorosa del beneficiato.

Dobbiamo ammettere che l’Italia sta cambiando in peggio. Non so fino a qual punto questa deriva dipenda da sollecitazioni nazional populiste, per non dire nazifasciste, provenienti da partiti e movimenti che vogliono divulgare, cavalcare e strumentalizzare gli istinti peggiori della nostra gente oppure da un egoistico fenomeno di pessima autocoscienza collettiva, che, a sua volta, porta a cercare corrispondenza in certe forze politiche. Si tratta di uovo e gallina, che comunque predicano e razzolano nel pollaio della paura dei diversi.

Di fronte a questo vergognoso andamento, di cui bisogna purtroppo prendere atto, esistono tre modi di interpretarlo e governarlo. Si può soffiare sul fuoco, dare ulteriore spinta a un fenomeno regressivo promettendo demagogicamente di corrispondere ad esso con drammatiche politiche di esclusione, espulsione e discriminazione. Si può dare un colpo al cerchio e uno alla botte, facendo risalire semplicisticamente le responsabilità a chi ha governato lasciando crescere a dismisura i fenomeni e creando il malcontento. Si può tentare di coniugare antirazzismo e sicurezza in un arduo percorso di ricollocamento geografico, territoriale e culturale. Il primo atteggiamento è tipico della destra estrema leghista e non solo. Il secondo rispecchia la tattica dello scarica barile del movimento cinque stelle, che si ferma sempre e comunque alle colpe altrui senza proporre niente e prospettando concrete e ormai sperimentate cadute dalla padella alla brace. Il terzo è l’arduo tentativo della sinistra riformista di governare i problemi con gradualità e inserendoli in un progetto di compatibilità capace di scolare il brodo di coltura del razzismo e dei suoi presupposti socio-culturali.

Per esemplificare, a costo di banalizzare il discorso, c’è chi accarezza la pancia degli italiani promettendo sostanzialmente di cacciare fuori dalle palle i migranti ad eccezione dei rifugiati patentati, dimenticando di spiegare come, dove e quando verranno portati coloro che in esubero sono arrivati disperatamente sul nostro territorio e come si possa fare a distinguere tra disperazione ammessa e disperazione non consentita. C’è chi ritiene il fenomeno troppo grande e clamoroso per colpa di chi doveva affrontarlo e quindi lo rigira al mittente. C’è chi prova a sporcarsi le mani ed a proporre qualche risposta seppure limitata e per certi versi inadeguata.

Non sarà facile per gli italiani trasferire questo argomento basilare dal livello intestinale a quello mentale. È inutile nascondere che gran parte del risultato elettorale della prossima consultazione politica dipenderà dal modo in cui i cittadini si porranno di fronte a questo spigoloso tema. Amnesty fa il suo prezioso mestiere, fa la sua denuncia, che non lascia scampo. Sembra bocciare anche i tentativi di coinvolgere i paesi africani rei di adottare procedure disumane. Non so se potrà servire a stimolare governati e governanti in un processo di virtuoso riscatto. Bisogna capire se chi entra in cabina e chi si candida ad entrare in Parlamento metterà al primo posto la propria scomoda coscienza o i propri brutali interessi.