Sono incappato casualmente in uno dei tanti talk show televisivi: si trattava di quello imbastito da Giovanni Floris su La7. Sono stato trattenuto in quanto si stava esibendo, a livello di satira politica, Gene Gnocchi, personaggio generalmente gradevole e senza eccessive pretese intellettualistiche.
Nella faziosa, insopportabile e inconcludente sarabanda politica, accentuata dalla campagna elettorale, si è perso anche lui con una prestazione a senso unico, sotto l’occhio soddisfatto e accondiscendente di Marco Travaglio (sembrava avvertirlo: sparla pure di tutti, ma non dei grillini…). L’ho trovato scaduto in una satira a metà strada fra il giornalino studentesco e il papiro goliardico: tutto estremamente superficiale e scontato.
Innanzitutto non si può deridere chi generalmente e storicamente sale sul carro del vincitore (Bruno Vespa), salvo salire su quello grillino ancor prima che i cinque stelle vincano le elezioni: La7 è infatti scopertamente schierata con i suoi trimalcioni e con gli ospiti fissi. Altro che par-condicio… Persino la satira risente di questo orientamento e allora, quando è apertamente strumentalizzata, perde tutto il suo appeal.
Poi esiste il buongusto che Gene Gnocchi ha accantonato, speriamo solo momentaneamente. Ad un certo punto ha preso di mira Giorgia Meloni: è indubbiamente un personaggio che sembra fatto apposta per essere preso in giro. Ma associarlo all’immagine di un maiale-femmina soprannominato Claretta Petacci, ritengo sia una trovata che fa solo piangere.
Non ho niente da spartire col fascismo, ho assorbito una educazione più “afascista” che antifascista, mi sono formato politicamente aderendo a scuole di pensiero democratiche, ho militato nella Democrazia Cristiana, non ho mai avuto nessun tipo di nostalgia. Potrei continuare, ma non è il caso.
Tuttavia un’offesa così triviale, per una persona morta e sepolta, già abbondantemente punita (uccisa insieme a Mussolini), svillaneggiata e oltraggiata dopo la morte (il suo corpo appeso alle forche di piazzale Loreto), storicamente e forse ingiustamente associata alle malefatte del Duce di cui era amante, considerata malignamente come il simbolo dell’opportunismo femminile verso l’uomo di potere, mi sembra di cattivo gusto: così ho esclamato a gran voce davanti al video, anche se ero solo, ed ho immediatamente spento la TV.
Adriana Lecouvreur, protagonista della famosa opera di Cilea, di fronte alla perfidia della sua rivale in amore, afferma: «Ma perché mai discendere a tanta scortesia…». Lo chiedo a Gene Gnocchi, ma mi permetto di andare anche oltre.
Se avesse fatto satira durante il ventennio, avrebbe avuto il coraggio di dire della Petacci quel che ha detto l’altra sera? Ho seri dubbi a giudicare dalla frettolosa omologazione gnocchiana all’attuale corrente che tira verso il movimento cinque stelle, la sua immediata iscrizione al partito dei nani e delle ballerine di craxiana memoria. Due pesi e due misure: la Meloni associata all’immagine di una “zana” di nome Petacci, la Raggi con un bidoncino per la raccolta dei rifiuti della sua parte politica. La seconda è benevola satira, la prima è insulsa e inaccettabile cattiveria, soprattutto per una persona morta e sepolta.