A metà degli anni settanta del secolo scorso fui partecipe di un’iniziativa editoriale a livello parmense, esperienza breve, ma molto interessante, in una città dove tutto rischia sempre di cadere nel vuoto pneumatico creato a livello informativo. Si era incerti se puntare su una radio o su un settimanale cartaceo. Si optò per il giornale e fu “Parmasette”. Alcuni però avrebbero preferito un’emittente radiofonica: si ipotizzava la radio culturale, la radio “pallosa”, in netto contrasto con l’andazzo assai leggero del panorama cittadino.
Ebbene, parafrasando quanto sopra, ci starei a trasformare la Rai nell’emittente pubblica “pallosa”, quella che costringe lo spettatore a pensare, magari senza canone, risparmiando sui costi e puntando sulla qualità della proposta culturale.
Di fronte alla eventualità, da molti liquidata frettolosamente come elettoralistica, di eliminare il canone televisivo rendendolo possibile con una razionalizzazione ed un contenimento delle spese, non mi sono affatto scandalizzato, anzi, se devo proprio essere sincero, ho tirato un respiro di sollievo: vuoi vedere che ne uscirà la Tv pallosa che costa poco e punta in alto? Sarebbe troppo bello.
Il problema non è alleggerire le tasse, fra cui possiamo mettere il canone televisivo, nemmeno sostituire l’entrata del canone con l’aumento degli introiti pubblicitari (ce n’è fin troppa, al punto che la pubblicità non è un intervallo fra i programmi, ma i programmi sono un intervallo fra i messaggi pubblicitari), ancor meno trasferire sic et simpliciter il servizio pubblico a carico del bilancio dello stato (un servizio pubblico veramente tale lo potrebbe anche comportare), men che meno privatizzare la Rai considerandola un pezzo d’antiquariato di cui disfarsi.
Il sogno è ricondurre ad austerità i programmi televisivi e radiofonici, dando loro un respiro formativo ed informativo a scapito della mera ed insulsa gara all’audience. Non so se chi parla di eliminazione del canone intenda tutto ciò; se fosse così, avrebbe tutto il mio appoggio. Paradossalmente, pur di avere una “Rai pallosa”, sarei disposto a pagare un canone raddoppiato.
In casa mia, anche quando, dopo parecchio tempo, fu introdotta Sua Maestà la televisione, il tubo catodico fu sempre tenuto rigorosamente lontano dalla cucina, dal locale dove si consumavano i pasti: se in TV trasmettevano un evento proprio irrinunciabile, si raggiungeva l’onorevole compromesso di anticipare l’ora del pasto per poi potersi trasferire in salotto ed assistere al programma televisivo. Pur definendola sarcasticamente “la rovina delle compagnie” in casa e fuori casa, mio padre amava la televisione, ne coglieva tutta la portata a livello informativo, formativo, culturale e ricreativo, sapeva scegliere tra i programmi quelli meritevoli di attenzione. Il televisore entrò in casa mia con un certo ritardo rispetto ai tempi delle altre famiglie: una spesa voluttuaria che si inseriva in un bilancio magro. Ecco perché non mi sento video-dipendente e quindi riesco ad essere distaccato e critico nel valutare la questione televisiva a cui peraltro sono interessato.
Qualcuno mi collocherà fuori dal mondo. Tutto sommato è il più bel complimento che mi si può fare, visto cos’è il mondo in cui viviamo e per il quale la televisión, come canticchiava Enzo Iannacci, la ga ‘na forsa da león e la t’indormenta cmé un cojón.