Pochi giorni or sono scrivevo un commentino dedicato ai “mali di stagione…lirica”, intendendo alludere anche alle ormai consuete forzature nella messa in scena delle opere liriche. Sono stato facile profeta: il 07 gennaio prossimo verrà rappresentata al Maggio musicale fiorentino una Carmen di Bizet che fa già discutere per la suo stravolgente ambientazione (un centro di accoglienza per stranieri) e per il suo invertito finale (Carmen ammazza Don Josè vendicandosi delle molestie sessuali subite e reagendo al femminicidio previsto dal dramma). È il caso di dire che questa Carmen di Firenze si salva da don Josè, ma rischia di soccombere al regista (forse, tutto sommato, era meglio la vendetta dell’amante).
Vi ricordate Piero Pacciani, il mostro di Firenze. Di fronte a certe bigotte difese della donna a volte mi scappava detto, paradossalmente e provocatoriamente, che forse sarebbe stato meglio farsi difendere da Piero Pacciani. Similitudini pazzesche e raccapriccianti, ma eloquenti.
Queste masturbazioni scenografiche e registiche non dovrebbero fare più notizia ed infatti mi ha stupito la grande attenzione mediatica riservata all’evento. Forse costituisce una novità rimanere nel solco della tradizione.
Quasi sempre, ma soprattutto in materia di opera lirica, faccio riferimento ai giudizi di mio padre: come già detto, era drasticamente contrario alle innovazioni, era un autentico “matusa” in questo campo. Anche se il discorso sarebbe molto lungo e complesso, il messaggio che papà mi lanciava era: stai sempre attento ai mistificatori della realtà, a chi te la vuole raccontare e chi più ne ha più ne metta .
Giacché siamo sul terreno della dissacrazione, introduco cosa intendesse mio padre al riguardo, tramite il richiamo ad una battuta piuttosto gustosa. Si rappresentava Otello ed anche l’opera lirica di Verdi, così come la tragedia di Shakespeare, contiene le “nevrotiche” insistenze di Otello su un “fazzoletto” donato a Desdemona quale pegno d’amore. Il fazzoletto! Il fazzoletto! Commento di mio padre ad alta voce in pieno loggione: “S’ al fiss stè un linsól chisà che lavór!” Della serie “dissacriamo un po’ anche i mostri sacri”, più parmigiano di così si muore.
Torno però alla Carmen di Bizet di Firenze: mi ha colpito l’affermazione del regista Leo Muscato, il quale, intervistato come non mai, ha detto che l’ambientazione storico-culturale a Siviglia dell’opera non regge, perché quel mondo non esiste più e allora…
Una lapalissiana considerazione che vale, più o meno, per tutte le opere teatrali: andrebbero quindi stravolte ed aggiornate tutte, altrimenti rischieremmo di renderle inespressive? Ma fatemi il piacere! Siamo arrivati al punto che uno si alza al mattino e si prende il diritto di sparare cazzate e trova chi lo ascolta, lo paga e gli mette a disposizione un teatro ed un testo teatrale. Non voglio porre il carro avanti ai buoi. Tra l’altro non avrò la possibilità di assistere a questo spettacolo. Mi sembra però che nasca sotto una cattiva stella. Come al solito del direttore d’orchestra (che accetta simili stravolgimenti) e dei cantanti non frega niente a nessuno: una Carmen per sola regia. Se andiamo avanti così, l’unica salvezza sarà eseguire le opere liriche in forma di concerto.
Tutto da cambiare, tutto da rivoluzionare, tutto da rifare (come diceva il grande Gino Bartali). Ricordo la reazione stizzita di mio padre rispetto alle condanne verso il loggione per aver cassato il finale a mezza voce di Aida ad opera del grande tenore Carlo Bergonzi. «Lo spartito dice così» affermavano gli acculturati appassionati dell’ultimo minuto. «Alóra adésa andèmma a ca e spachèmma tutt i disch indò in-t-al finäl j canton in vóza» rispondeva piccato il mio scettico genitore. Se diceva così per un acuto, chissà cosa direbbe oggi per una Carmen che, invece di farsi ammazzare, spara al suo ingombrante e testardo amante. Troverebbe sicuramente una battuta adeguata, io invece mi fermo qui.