Tra le indicazioni omiletiche del primo giorno dell’anno ne ho colta una con particolare interesse in quanto tocca un mio ansioso e categorico imperativo: non sprecare il tempo.
Quando preparavo gli esami universitari non uscivo di casa, rimanevo giorno e notte in pigiama, studiavo persino in bagno; quando non ne potevo più, alleviavo la fatica con un sottofondo di musica classica, mi alzavo alle cinque del mattino e facevo brevissime soste solo per i pasti. Esageravo, come è sempre stato mio costume, ma poi mi rifacevo e tiravo il fiato per qualche giorno prima di tuffarmi nel successivo esame.
Sì, perché è vero quanto sosteneva mio padre con un suo prezioso insegnamento: ci deve essere un tempo per studiare e lavorare, un tempo per stare con la famiglia, un tempo per le amicizie, un tempo (il più importante e assorbente) per i legami sentimentali, un tempo per ascoltare gli altri ed i loro problemi, un tempo per il divertimento e lo svago. Non è facile combinare al meglio queste opzioni, ma bisogna almeno provarci.
A volte, ascoltando le chiacchiere inutili della gente e pensando purtroppo anche alle mie, mi viene spontaneo tentare una paradossale proiezione: se il tempo dedicato alle polemiche viziose, ai ragionamenti oziosi e ai contrasti inutili fosse convertito alle cose importanti della vita personale e comunitaria, forse avremmo avviato a soluzione parecchi problemi.
Provate ad immaginare il fiume di sciocchezze che scorre nei bar e nei locali pubblici in genere, nei salotti (anche e soprattutto quelli televisivi), nei saloni di bellezza: roba da far invidia al tanto vituperato peggior dibattito politico. Il mezzo televisivo ha tolto parola e capacità critica allo spettatore, alle chiacchiere umane sono state sostituite quelle catodiche. Poi è arrivato lo smartphone e Dio ce ne scampi e liberi: le stupidaggini corrono sul web e diventano addirittura roba delinquenziale.
Al riguardo mio padre, a volte, proprio per segnare marcatamente il distacco con cui seguiva i programmi TV, si alzava di soppiatto dalla poltrona e quatto, quatto se ne andava. Mia madre allora gli chiedeva: “Vät a lét?”. Mio padre con aria assonnata rispondeva quasi polemicamente: “No vagh a lét”. Era un modo per ricordare la gustosa chiacchierata tra i due sordi. Uno dice appunto all’altro: “Vät a lét?” ; l’altro risponde: ” No vagh a lét”. E l’altro ribatte: “Ah, a m’ cardäva ch’a t’andiss a lét”.
Il dialogo tra mio padre e la televisione non era come quello tra due sordi: sapeva godere anche la TV ma con una certa parsimonia (la usava spesso come sonnifero che provocava solenni russate, sistematicamente negate all’evidenza), forse intravedeva per tempo il pericolo che l’immagine assorbita acriticamente porta con sé.
Visto che siamo in tema di parole sprecate e di dialogo tra sordi, vi racconto come nel bar frequentato abitualmente da mio padre ci fosse qualche persona un po’ dura d’orecchi, uno in particolare dotato di apparecchio acustico. Gli amici, i primi tempi di utilizzo dell’aggeggio, chiedevano al ringalluzzito compagnone: “Gh’ät piè la radio? Parchè s’a te gh’la zmors a t’ podèmma där dal stuppid”.
Poi vengono le polemiche assurde ammantate di scontro sociale. In un cantiere edile mio padre assistette alle continue, reiterate, pesanti rimostranze di due operai nei confronti del loro datore di lavoro, assente dalla scena ma non per questo meno osteggiato. Tra un improperio e l’altro i due lavoratori cercavano di preparare una tavola di legno da utilizzare non so come. Dopo un paio d’ore si accorsero di avere sbagliato tutto e che la tavola era inutilizzabile. Mio padre, che aveva una linguaccia che non poteva star ferma, li rimproverò di brutto dicendo: “Al vostor padrón al sarà gram, mo sarà dificcil ch’al s’ faga di gran sòld cól vostor lavór”. Questa, a casa mia, si chiama onestà intellettuale. Era solito dire:“Primma äd tutt fa bén al to’ lavor e po’ a t’ pól fär tutti il batalj sindacäli ch’a t’ vól”.
Continuo e chiudo con i ricordi paterni: difendeva a spada tratta una cognata piuttosto taciturna, sostenendo che era in vantaggio su tutti i suoi parenti critici verso di lei, in quanto aveva meno possibilità di dire sciocchezze.
Sarebbe già qualcosa se facessimo un po’ tutti un proposito per l’anno appena iniziato, un impegno piccolo-piccolo, che farebbe risparmiare tempo, fiato e financo denaro: dire meno scemenze. Proviamoci.