Don Andrea Gallo raccontava una stupenda barzelletta (?): «Voi sapete che nella nostra Santa Madre Chiesa, uno dei dogmi più importanti è la Santissima Trinità: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. L’amore e la comunione vanno in tutto il mondo, e si espandono. Lo Spirito Santo dice: “Andiamo a farci un giro. Io sono affascinato dall’Africa”. Il Padre risponde: “Be’, io andrò a vedere il paradiso delle Seychelles. Perché non capisco come mai i miei figli e figlie hanno il paradiso in terra”. Gesù ascolta e non risponde. Allora gli altri due: “Tu non vai?” Gesù: “Io ci son già stato duemila anni fa”. “Non ci farai mica far la figura che noi andiamo e tu rimani”, gli dicono in coro il Padre e lo Spirito Santo. “Va be’, allora vado anch’io”. “Dove vai?” “A Roma”. “Sì, ma a Roma dove vai?” “Vado in Vaticano”. “In Vaticano?”, dicono increduli il Padre e lo Spirito Santo. Gesù risponde: “Eh sì, non ci sono mai stato”».
Questa gustosa storiella mi è tornata in mente leggendo le critiche che papa Francesco ha rivolto alla Curia Vaticana: non ha speso parole chiarissime, forse ha parlato a nuora perché suocera intenda, forse è stanco di avere a che fare con un ambiente viscido e ambiguo, forse ha cannato qualche scelta di persone, forse si rende conto di dover combattere contro i mulini a vento.
Da una parte il papa, che, tra l’altro, non deve rispondere ai suoi elettori, non ha problemi di secondo mandato, ha un diretto superiore molto esigente ma totalmente al di fuori degli schemi, quello Spirito Santo che tutti invocano e di cui tutti se ne fregano, ha l’autorità per intervenire direttamente e pesantemente nella carne burocratica della Chiesa, per riformare le strutture riconducendole al paradossale dettato evangelico della non-struttura.
Dall’altra parte il papa deve pur fare i conti con la debolezza umana annidata nelle stanze vaticane: sono sue pecore anche i cardinali e i monsignori di Curia e non può limitarsi a “smerdarli” come meriterebbero, non fosse altro perché hanno la furbizia e la capacità di disfare la tela papale.
Se ne esce? Da tempo vedo un grosso rischio per papa Francesco, quello di non riuscire ad istituzionalizzare, strutturare, codificare, consolidare, concretizzare il messaggio fortemente innovativo di cui è portatore. Nello stesso tempo capisco che l’invito aperto e misericordioso dell’attuale pontefice non può essere rinchiuso nelle mura vaticane, non può essere lasciato agli addetti ai lavori, non deve essere tradotto in disposizioni canoniche. In fin dei conti Gesù non ha scritto niente e diceva continuamente ai suoi discepoli di non preoccuparsi, perché al momento giusto avrebbero comunque saputo cosa c’era da fare e da dire.
Ammetto che, quando il papa lancia frecciate ai potenti e ingombranti esponenti della sua corte, godo come un matto, ma la goduria finisce in fretta, perché le frecciate e i rimproveri scavalcano le mura vaticane e superano gli abiti talari per arrivare a tutti coloro che dicono di essere cristiani.
Sembra che nei richiami di questi ultimi giorni in vista del Natale 2017 alcuni, coloro che ostentano di essere più papisti del papa, abbiano visto un attacco agli opposti estremismi curiali: ai pedanti conservatori più incalliti, ma anche agli inconcludenti e deludenti riformatori chic. Non sono addentro agli equilibri “politici” della Chiesa, me ne frego altamente dei dogmi e delle regole, il mio punto di riferimento è il Vangelo, ascolto volentieri le parole di Francesco e sono attento ai suoi comportamenti in quanto lo vedo proteso a ricondurre tutto il popolo di Dio agli insegnamenti evangelici senza fronzoli e senza sconti. Il resto lo lascio ai vaticanisti.