Il caro amico don Luciano Scaccaglia, durante la celebrazione del Battesimo sull’altare poneva due riferimenti essenziali: la Bibbia e la Costituzione italiana. L’una chiedeva al cristiano la fedeltà alla Parola di Dio, l’altra al cittadino l’attivo rispetto dei principi democratici posti a base del vivere civile. Questo, secondo i detrattori del cavolo (resisto alla tentazione di usare un termine volgaruccio che lascio alla facile intuizione del lettore), anche altolocati, voleva dire fare politica in chiesa… Che ottusità mentale e culturale! Erano stupende e geniali provocazioni esistenziali, che contenevano autentici trattati di teologia coniugata con la laicità dello Stato. Se, pertanto, fare politica in chiesa vuol dire affermarne la laicità ed auspicarne l’ancoraggio ai valori di giustizia, uguaglianza e solidarietà, don Scaccaglia faceva politica: egli, tra l’altro in perfetto stile degasperiano, alla duplice appartenenza del cittadino credente alla Chiesa e allo Stato rispondeva con la duplice fedeltà al Vangelo e alla Costituzione, conciliando Chiesa e Stato nell’impegno concreto degli uomini e non sui principi astratti e sui compromessi giuridici o, peggio ancora, di potere.
Ma veniamo al settantesimo compleanno costituzionale. La torta per festeggiare contiene, a mio giudizio, due ingredienti fondamentali, uno di metodo e l’altro di merito. Il metodo, che io amo definire della “mediazione ai livelli più alti”, continua ad essere un’autentica ed insuperabile lezione di “galateo” politico: il confronto, con addirittura qualche punta di scontro vero e proprio, se attuato con onestà di intenti e vera disponibilità al dialogo, porta a risultati positivi. In quella fase storica la fame democratica era tale da non consentire alcun spreco di risorse umane ed intellettuali. Oggi riteniamo di essere sazi di democrazia e rischiamo di sciupare tutto: facciamoci tornare l’appetito che, tra l’altro, vien mangiando. Noi, a forza di fare gli schizzinosi e di rifiutare il cibo, siamo diventati democraticamente anoressici.
Nel merito la nostra Costituzione rappresenta una combinazione formidabile dei valori liberali, socialisti e cattolici in un mix che riesce a coniugare al meglio i diritti individuali con quelli collettivi: in larga parte è tuttora inattuata, in qualche parte dovrebbe essere aggiornata, in nessuna parte è superata.
Di fronte alla Costituzione si possono avere due atteggiamenti ugualmente sbagliati: la oltranzistica e nostalgica difesa e la smaniosa e modernistica revisione. Il dibattito rischia di avvitarsi sempre e comunque in questo falso dualismo dialettico con il risultato di mettere la Costituzione in naftalina. È successo con le riforme costituzionali bocciate dal recente referendum. Lo sforzo di rinnovamento è stato banalmente liquidato come stravolgimento. Attenzione quindi a non cadere nell’immobilismo costituzionale: i padri costituenti non hanno inteso darci una legge intoccabile e perfetta, ma uno strumento da utilizzare al meglio, con saggezza e coraggio, sapendo distinguere ciò che è irrinunciabile da ciò che deve essere cambiato e perfezionato.
La Costituzione non è l’abito da sposa, che si mette una volta e poi lo si ripone nell’armadio come un talismano, è l’abito della festa da tenere sempre in ordine, da adattare, da indossare e soprattutto da onorare.