Viviamo in un periodo in cui nei rapporti interpersonali prevale l’arroganza associata alla maleducazione: siamo all’interno di una società dove tutti si sentono autorizzati a sparare a zero su qualsiasi interlocutore o competitore. La politica non so se dia lezione o la subisca, fatto sta che i politici si comportano in modo inaccettabile, confondendo la critica con l’insulto, cambiando parere come si cambia di camicia, considerando l’avversario come un nemico, sostituendo il confronto delle idee con la guerra delle parole.
I media soffiano su questo fuoco, la gente apprezza i toni forti anche perché ognuno tende purtroppo a comportarsi secondo questi canoni, nei rapporti famigliari, scolastici, professionali, condominiali. Vince chi grida più forte, non importa se urla cazzate, l’importante è che copra la voce altrui.
La protesta è incivile, lo scontro è violento: nelle aule parlamentari come nelle piazze. Lo si è visto durante la discussione sulla legge elettorale: sono volate parole grosse in una pericolosa sovrapposizione tra dibattito parlamentare e tumulti di piazza. Dalla piazza si gridava al golpe fascista in un crescendo anti-democratico da far rabbrividire. Era proprio il fascismo ad usare le piazze per delegittimare le istituzioni: la storica definizione della Camera quale aula sorda e grigia. Non c’è malcontento che tenga, queste manifestazioni non dovrebbero trovare posto in un sistema democratico.
Stupisce (?) che un uomo politico navigato come Massimo D’Alema cada in questa trappola, solo ed esclusivamente per riconquistare un misero spazio politico: «Questa legge è una truffa, frutto di un lungo accordo di potere tra Renzi e Berlusconi, mediato dall’ineffabile senatore Verdini. Il testo ha profili di incostituzionalità, come le due precedenti. A questo punto il cittadino penserà che è meglio che il Parlamento non faccia più leggi». Così ha sentenziato D’Alema con la sua solita supponenza.
Per fortuna gli ha risposto per le rime un suo storico compagno di viaggio e di partito, Piero Fassino: «D’Alema, per il quale ho molto rispetto, dice che Renzi vuole l’alleanza con Berlusconi. Ma dico: la Bicamerale chi l’ha fatta? Se c’è un uomo politico che ha cercato di creare un rapporto con il centro-destra e il suo leader perché fosse funzionale alle riforme, questi è D’Alema».
A chi contestava a D’Alema di aver inciuciato per portare, a suo tempo, Ciampi al Quirinale, veniva risposto dall’interessato: «Meno male che c’è Ciampi…».
Ora io prendo a prestito lo schema di battuta e dico: «Meno male che c’è Fassino…». Sì, perché a D’Alema vengono fatti sconti molto generosi pur di polemizzare col Pd: fa gioco infatti la sua verve anche se basata su incoerenze clamorose. Strizza l’occhio al sindacato colui che contribuì a giubilare Sergio Cofferati, reo di incarnare una impostazione troppo piazzaiola e populista; rispolvera l’identità di sinistra alla Jeremy Corbyn chi aveva teorizzato in passato il riformismo, vagheggiando legami internazionali con Blair e Clinton; punta al ritorno di una sinistra pauperista e barricadiera colui che ha sempre rappresentato quella elitaria in doppio petto burocratico. Potremmo continuare, ma in politica vince la memoria corta. Meno male che c’è Fassino, che non l’ha persa nella affannosa rincorsa a chi è più di sinistra.
Tutto dovrebbe avere un limite, anche la faccia tosta di D’Alema. Non è l’unica e non è la più deleteria, ma viene da una parte a cui sono particolarmente e severamente attento. Per D’Alema ho sempre avuto stima e rispetto, l’ho sempre considerato un politico di razza. Da un po’ di tempo mi sto ricredendo di brutto.
Purtroppo i limiti sono saltati come birilli. Vuoi vedere che ci troveremo di fronte ad alleanze tra D’Alema e Grillo: sono fuori entrambi dal Parlamento e vogliono comandare lo stesso. Il patto della (s)crostata politica italiana. Mi fermo perché la foga del discorso mi sta portando sul terreno che ho appena stigmatizzato.
La deputata Paola Binetti dell’Udc, durante il dibattito parlamentare sulla legge elettorale, ha dichiarato: «Non sappiamo se la legge è meglio o peggio dell’altra, quello che auspichiamo è che i leader possano favorire candidature che portino a un Parlamento migliore». Obiettivamente non è un granché come intervento politico alla Camera dei Deputati in un momento così delicato e complesso. Sempre meglio (è tutto dire) dell’attuale arroganza dalemiana. Accontentiamoci e speriamo che la politica possa ritrovare almeno quei limiti di decenza che ci hanno insegnato i maestri di democrazia.