Nel nostro Paese assistiamo ad una continua passerella di personaggi politici che si accreditano come salvatori della patria dopo aver avuto la possibilità negli anni passati non dico di salvarla , ma almeno di migliorarla un po’, e non esserci riusciti.
Il centro-destra ha governato dal 1994 al 1996, dal 2001 al 2006, dal 2008 al 2011 per un totale di 12 anni, non certo un periodo breve, pur se non continuativo: Berlusconi con la sua Forza ha portato l’Italia sull’orlo del baratro in collaborazione coi leghisti e con la destra (entrambi cavallerescamente sdoganati), variamente assortiti ma pur sempre alleati nella maggioranza e nel governo.
Il centro-sinistra guidato da Prodi, D’Alema, Amato, Letta, Renzi e Gentiloni ha governato dal 1996 al 2001, dal 2006 al 2008, dal 2013 fino ai giorni nostri, per un totale di quasi 13 anni: ha ottenuto risultati migliori rispetto alla deriva berlusconiana, ma ha sicuramente sprecato parecchie chance.
Mentre il centro-destra punta testardamente ancora su Berlusconi, pur tentando disperatamente e “peggiorativamente” di condizionarlo, il centro-sinistra, come al solito, si lacera al proprio interno e scarica tutte le colpe possibili e immaginabili sugli ultimi presidenti del consiglio, soprattutto su Matteo Renzi reo di avere snaturato la sinistra portandola al fallimento identitario. In questa assurda gara si distinguono Bersani e D’Alema, il primo è stato ministro di primissimo piano e segretario del Pd, il secondo è stato presidente del consiglio e ministro degli Esteri. D’Alema era appoggiato dagli “straccioni” seguaci di Francesco Cossiga e quindi non può certo dare a Renzi e Gentiloni lezioni di purismo parlamentare; presiedette un governo che partecipò alla guerra del Kosovo, non certo una scelta idealista, ma pragmatica, e quindi le sue rimostranze identitarie e valoriali fanno alquanto sorridere. Sono portato a pensare che influisca sulle sue scelte polemiche soprattutto la mancata designazione a ministro degli esteri europeo (che sarebbe comunque stata auspicabile e utile all’Italia ed all’Europa).
Non scherzano nemmeno Romano Prodi ed Enrico Letta. Prodi non riesce a togliersi di bocca il dente avvelenato della perfida bocciatura subita nella corsa alla Presidenza della Repubblica, il secondo non ha ancora ingoiato il rospo della subdola defenestrazione dalla Presidenza del Consiglio.
Se è vero che si vive anche di ricordi, non si può vivere di astio e di rimpianti. Prodi è stato anche a capo della Commissione Europea per diversi anni e non ha lasciato segni importanti del suo operato, tali da consentirgli di fare, in giro per il mondo, il primo della classe degli europeisti, somministrando lezioni a destra e manca.
Purtroppo a questo strano gioco del salvatore della patria è arrivato persino Giorgio Napolitano, presidente emerito della Repubblica: lui che è sempre stato l’autorevole e profetico interprete della linea politica di sinistra in chiave riformista, europeista e pragmatista, si sta riscoprendo, quale padre nobile della sinistra stessa, come garante ante litteram della purezza istituzionale. Mi riferisco alle sue censure di metodo e di merito verso la nuova legge elettorale finalmente approvata dal Parlamento. Non gli sono andati giù i numerosi ricorsi alle questioni di fiducia posti dal governo sulla legge stessa in modo da renderne spedito l’iter parlamentare al prezzo di contenere il dibattito altrimenti fuorviato da lungaggini ed ostruzionismi vari.
Ritengo la scelta governativa accettabile se vista nella logica di raggiungere l’imprescindibile risultato di arrivare all’approvazione delle regole elettorali senza intralciare i lavori camerali fino al termine della legislatura (legge finanziaria ed altri provvedimenti in dirittura d’arrivo). Ma la mia sorpresa è stata quella di trovare Napolitano schierato sul fronte del vuoto garantismo istituzionale: proprio lui che, peraltro giustamente ed opportunamente, non si fece scrupolo di assumere ruoli politici, a livello interno ed internazionale, per chiudere la triste parentesi del governo Berlusconi e riportare il Paese nella normalità dei suoi gravi ed urgenti problemi. Senza parlare degli, altrettanto giusti ed opportuni, interventi riguardanti i rapporti con la Magistratura. Ero dalla sua parte e mi sembrarono pretestuosi e inaccettabili gli attacchi ai suoi presunti sgarbi istituzionali, così come mi sembrano esagerate e grilloparlantesche le sue censure all’operato del governo Gentiloni in occasione della vicenda parlamentare sulla riforma elettorale.
Mentre Bersani e D’Alema escono dalla maggioranza sputando veleno, Napolitano fa il fine dicitore costituzionale, finendo per andare nella stessa sostanziale direzione: quella di delegittimare il governo e attaccare il Pd. A risentirci alla prossima puntata!