La peggior disgrazia che può accadere ad una persona non è quella di essere povero di risorse materiali, ma di essere senza dignità, vale a dire privo di risorse umane e di rispetto verso se stesso e gli altri. Quando mi recavo in quel di Verona per assistere agli spettacoli areniani, per accedere alla platea ero costretto a passare in mezzo a due ali di folla: erano frotte di curiosi alla spasmodica ricerca di qualche vip da ammirare, per soddisfare la voglia di “sgolosare” sulle sfarzose primedonne del pubblico, per accontentarsi cioè di “sfrugugliare” nel retrobottega dell’affascinante mondo dello spettacolo. Erano i poveri senza dignità, che invidiano i ricchi e non riescono ad essere “signori”.
Quando poi la povertà si fa dura e mette a repentaglio l’esistenza nei suoi bisogni essenziali, il gioco può diventare delicato al limite della violenza individuale e collettiva. Per farla breve è quanto sta succedendo nel tessuto sociale italiano tra “poveri con cittadinanza” e “poveri senza patria”, tra abitanti del nostro Paese alla ricerca di una casa, un lavoro, un sostentamento e profughi alla deriva in mare e sulla terra straniera, tra rifugiati e migranti economici, tra giovani in cerca di futuro e anziani in difesa del passato, tra migranti riusciti ad integrarsi e loro simili ancora in balia dell’indifferenza o dell’ostilità.
Le chiamano guerre fra poveri e sono le peggiori guerre che possano scoppiare, perché dividono, squalificano, compromettono ulteriormente la vita di questi soggetti, portandoli dalla disperazione del presente alla impossibilità di un futuro, togliendo ad essi ogni e qualsiasi speranza di riscatto.
È una trappola mortale in cui cadono i poveri, tesa loro dai ricchi per squalificarne in partenza ansie, battaglie, rivendicazioni, proteste. Si scatena il gioco della legalità: è illegale che un disperato senza casa occupi un immobile abbandonato? Al di là di qualche interessante sentenza della magistratura che ha dovuto affrontare e talora negare simili situazioni di presunto reato, mi chiedo: è legale che ci siano persone che non hanno uno straccio di casa in cui rifugiarsi per piangere almeno, con dignità, la propria miseria?
In questa rete perbenista finiscono col restare impigliati i senza diritti, che cercano di liberarsi “rubandone” qualcuno ai propri simili o “accontentandosi” della paura verso i propri simili e finiscono col perdere anche il bene più prezioso, la dignità. Se devo essere sincero, resto molto più angosciato di fronte a questi scontri tra disperati che non davanti ai naufragi di quanti fuggono dalla loro disperazione. Sì, perché in mare aperto, tra le onde che coprono i barconi straboccanti e traballanti c’è pur sempre un barlume di speranza in una mano tesa a salvarti, mentre nella guerra per un tozzo di pane c’è tutta la sconfitta dell’isolamento totale perché l’avversario è il tuo amico di sventura.
I media fomentano il malcontento, come afferma acutamente Emma Bonino gli imprenditori della paura fanno affari, i politici dissertano sull’uovo della legalità o sulla gallina della solidarietà, l’Unione europea continua a sottilizzare sulla differenza tra un individuo che rischia di morire per fame e uno che rischia la pelle in mezzo alle bombe, Virginia Raggi si esercita nelle graduatorie sulla fragilità dei senza casa (che le gridano giustamente “vergogna”), il ministro Minniti sputa il sangue per combinare qualcosa prendendosi critiche a destra e manca, i potenti della terra europea si scambiano complimenti come quegli assurdi progettisti di una porcilaia costruita senza porta: “Méstor mi, méstor vu e la zana in dò vala sù…”.
I migranti, so di chiedere loro un sacrificio quasi impossibile, si sforzino di evitare il ricorso alla violenza, fra di loro, con gli italiani, con le forze dell’ordine, con tutti: l’arma della dignitosa e pacifica richiesta di aiuto è l’unica che hanno e non si possono permettere di sprecarla, buttando come si suol dire, “il prete nella merda”.
Gli italiani la smettano di giocare sporco sulla pelle dei migranti: non rubano nulla a nessuno, chiedono un aiuto e non glielo possiamo negare nascondendoci dietro i nostri problemi. Sarebbe come se, davanti a un estraneo che sta morendo e chiede disperatamente soccorso, ci voltassimo a guardare un nostro familiare a letto con una grave malattia. Dobbiamo trovare il modo di assistere ed aiutare entrambi, ne va della sorte di tutti.