Nei giorni precedenti l’evento sportivo calcistico per eccellenza, lo scontro per la conquista della coppa dei campioni, mentre montavano smisuratamente l’attesa e l’interesse favoriti dalla solita e scriteriata cavalcata mediatica, mi chiedevo se questo clima esagerato non potesse finire col creare i presupposti per qualche disastro: mi riferivo soprattutto a possibili scontri fra opposte tifoserie accorse in massa a Cardiff, laddove, tra l’altro, lo stadio non poteva ospitarle interamente e quindi con ulteriori problemi di coesistenza pacifica fra tifosi e con gli abitanti della città, in una zona nel mirino del terrorismo come non mai.
Invece, ironia della sorte, il casino è scoppiato a Torino, non fra tifoserie antagoniste, ma fra i simpatizzanti juventini assurdamente accalcati in una piazza del centro. In un certo senso quanto è successo è dovuto ad una sorta di auto-terrorismo. Cerchiamo di essere seri. Il terrorismo si combatte anche e soprattutto gestendo bene l’ordine pubblico. E nel caso in questione è stato gestito malissimo o meglio non è stato gestito.
Prima dell’inizio della partita di finale di coppa campioni tra Juventus e Real Madrid la televisione ha mostrato, con la solita inutile enfasi (a quando un codice etico-professionale al riguardo), le immagini della torinese piazza San Carlo, affollata all’inverosimile di tifosi juventini alla ingenua ricerca di emozioni dal (quasi) vivo. Sono rimasto impressionato, più che dalla quantità di persone accorse e ammassate, dalla calca incredibile: una sorta di curva da stadio portata in una piazza cittadina. La mia notevole impressione aveva naturalmente il seguente retro-pensiero: nessuno avrà controllato tutta questa gente…sarebbe un gioco da ragazzi per un terrorista infiltrarsi e provocare una carneficina colossale…speriamo bene…
Il terrorista fortunatamente non si è visto, la carneficina nemmeno, però è bastato qualcosa di strano (un petardo, un boato, un grosso rumore?) per scatenare il panico e provocare un fuggi-fuggi generale con centinaia di feriti. Poteva andare peggio…
Non voglio fare il grillo-parlante ma mi si impongono alcune brevi riflessioni. La prima riguarda la necessità di sdrammatizzare questi eventi sportivi riportandoli alla loro giusta dimensione e vivendoli quindi con sana passione, ma anche con un po’ di sano distacco. La partita, non dimentichiamolo, è stata preceduta da sfoghi demenziali di tifo calcistico ospitati se non fomentati da televisioni in cerca di audience, ma anche i più moderati servizi sportivi hanno contribuito a creare uno smisurato senso di attesa facilmente sconfinabile in vera e propria battaglia di nervi e potenzialmente non solo di nervi.
Il clima di tensione, alimentato anche dai media, sfocia in queste disordinate radunate oceaniche che si prestano a degenerazioni di vario tipo: questa volta si è trattato solo di panico, altre volte la tensione ha portato a scontri violenti, ad atti vandalici, ad episodi di teppismo, etc.
La seconda è questa: sono perfettamente d’accordo che la nostra società non debba farsi condizionare dalla paura del terrorismo, ma il terrorismo c’è, non possiamo dimenticarlo, è purtroppo penetrato nel nostro subconscio e basta poco per farlo auto-esplodere. E allora, diamoci almeno una regolata: non creiamo le occasioni e i presupposti per favorire lo scatenamento psicologico del terrorismo senza terrorismo.
La terza riguarda la gestione dell’ordine pubblico: non pretendo l’impossibile, ma non ha senso consentire un assembramento come quello di piazza San Carlo, una vera e propria polveriera dove è bastata la fantomatica puzza di zolfo per far esplodere il panico e il disastro. Quando si riempie uno spazio con migliaia di persone bisogna garantire le vie di fuga, bisogna prevedere qualche spazio libero per entrata e uscita. Ammettiamo che una persona in quella piazza si fosse sentita male improvvisamente, come si sarebbe potuto soccorrerla? Può essere il senno di poi, ma una questura come quella di Torino questi problemi se li dovrebbe porre. Cerchiamo però anche di essere un po’ più prudenti come cittadini. Non dico di chiuderci ermeticamente in casa, ma nemmeno di sfidare prepotentemente e presuntuosamente i pericoli. Vivere non è facile, convivere è ancor meno facile, convivere col terrorismo è impossibile. Fermiamoci alle prime due difficoltà e affrontiamole con senso di responsabilità. L’impossibile non è alla nostra portata.