A detta di tutti gli stranieri l’Italia è un paese simpatico e ammirevole per la sua spontaneità e forse, aggiungo io paradossalmente, per le sue contraddizioni. Queste ultime sono sotto gli occhi di tutti, stridenti e provocatorie. In questi giorni mi è capitato di osservarne una clamorosa in campo etico. A Napoli una degente all’ospedale viene trovata letteralmente ricoperta di formiche, in Sicilia la Corte di Cassazione riconosce il diritto al risarcimento ai famigliari di un radiologo, dipendente della struttura sanitaria pubblica, morto d’infarto anche per lo stress procuratogli dal lavoro, che eseguiva con impegno esemplare e con dedizione eroica.
Da una parte un reparto ospedaliero gestito da fannulloni irresponsabili, dall’altra un medico che si dedica anima e corpo al suo lavoro al punto da rimanerne vittima. Due modi di concepire la professione e la vita. Confesso di avere tirato un sospiro di sollievo, dopo essere stato così fortemente impressionato dall’episodio “delle formiche”. Probabilmente, mi sono detto, a fronte della delinquenziale ed eclatante incuria di pochi (speriamo…) ci sta l’ammirevole e nascosta serietà di molti (speriamo…).
È un ritornello che si ripete troppo spesso: alle sciagure, spesso conseguenza in tutto o in parte della irresponsabilità e del menefreghismo, segue la solidarietà fattiva al limite dell’eroismo. Forse sarebbe meglio, se mai fosse possibile, travasare l’impegno a babbo morto nella prevenzione e nell’attenzione quando si è ancora in tempo per evitare il peggio. Meglio tardi che mai? In un certo senso sì.
Dobbiamo prendere umilmente atto che la vita singola e comunitaria è piena zeppa di contraddizioni: è il dato caratteristico della nostra umana fragilità. Non dobbiamo rassegnarci, ma nemmeno pensare di eliminare radicalmente questo brutto difetto. Dobbiamo conviverci al meglio, tentando di smussare gli angoli, facendo tutto il possibile con l’impegno personale e collettivo. Anche il Padre Eterno ci sopporta in questo nostro ondivago comportamento. A proposito di Padre Eterno ricordo un piccolo episodio: ero davanti al video in compagnia di mia sorella, persona che non sopportava l’ingiustizia (basti dire che scappava letteralmente, quando si imbatteva in immagini riguardanti le condizioni miserevoli dell’infanzia). Come spesso accade il telegiornale era un deprimente bollettino di fatti negativi e condannabili. Ad un certo punto uscì finalmente uno spiraglio di luce: un piccolo, grande gesto di eroica umanità, riportato dalle cronache. Non ricordo di cosa si trattasse. Rammento soltanto il commento che mi venne spontaneo: Dio, per chi ci crede, ci sopporta, ci ha creato Lui e sa che, tutto sommato, non siamo così cattivi come a prima vista potrebbe sembrare. Una minimalista ma importante scusa da accampare davanti alla maestà divina.
Un sacerdote che aveva svolto una proficua azione pastorale a livello di carcere mi disse un giorno, a commento dei miei tanti peccati a lui spietatamente confessati: «Non si demoralizzi, non si senta perduto! Nella mia esperienza a contatto con i carcerati mi sono reso conto che anche dietro le più squallide vicende umane (che non sono ospitate solo nelle carceri), c’è sempre un filo d’erba, uno sprazzo di luce che ci salva e ci redime».
Mi permetto di aggiungere che la vita di Gesù è piena di esaltazione per questi piccoli segni di umanità: gli bastava una carezza, una lacrima, una parola, un gesto per santificare una persona disprezzata, condannata e rifiutata. Dal pastore, che gli rende omaggio alla nascita, al ladrone, che lo consola durante l’agonia sulla croce, passando per quella donna che gli tocca il mantello e che solo Lui riesce a percepire e a guarire.