Me l’aspettavo, ma non ci posso credere. Il no al piano di rilancio di Alitalia da parte dei lavoratori ha per me qualcosa di inspiegabile e di paradossale. Ammetto che nella vita di questa azienda siano stati commessi errori madornali sul piano politico, dal punto di vista gestionale, in campo sindacale. Capisco che accettare grossi sacrifici sul piano economico e della permanenza in azienda possa essere un peso notevole. Tuttavia quando non esistono alternative serie e praticabili, mi hanno insegnato che sia meglio tagliarsi un dito piuttosto che la mano. Qui addirittura ci si è tagliati il braccio.
Ho provato a mettermi nei panni di questi lavoratori incazzatissimi (lo posso capire), sfiduciati (il passato indubbiamente non è incoraggiante), dubbiosi (il piano avrà sicuramente avuto notevoli margini di incertezza). Il governo ha provato a lanciare qualche messaggio positivamente provocatorio: si dice abbia ottenuto l’effetto contrario. I sindacati confederali si sono espressi a favore, seppure con molta fatica: sono stati smentiti alla grande e si sono giocati un po’ di credibilità, non ne era rimasta molta, ora ne hanno ancor meno. Sicuramente altri soggetti avranno tentato di influire sul referendum con argomenti razionali: non hanno sortito alcun effetto.
Qualcuno pensa che abbia giocato la spes ultima dea della nazionalizzazione: messo di fronte al disastro il governo si sarebbe piegato. È una strada impraticabile a tutti gli effetti. Quando un’azienda è in odore di fallimento, nei lavoratori scatta sempre il timore che si tratti di una messa in scena tesa a forzare la situazione e ad ottenere concessioni. Nel caso di Alitalia la situazione era nota da tempo e nella sua drammaticità non poteva essere considerata un giochino al ribasso verso i diritti dei lavoratori.
Qualcuno pensa sia psicologicamente più difficile rinunciare ai privilegi (sicuramente nella compagnia aerea c’è chi ne ha goduto) che rischiare il posto di lavoro (parecchi riusciranno a riciclarsi). Forse non esiste più alcuna solidarietà fra i lavoratori, che in ordine sparso rischiano di andare alla sicura sconfitta.
Le ho pensate tutte e non ci sono saltato fuori. Il fatto mi mette in crisi, di coscienza prima che politica. Non sono fra quanti brutalmente dicono che quando un’azienda deve fallire è meglio lasciarla al proprio destino. Non ho questo cinismo liberista nelle mie vene. Non mi sento neanche di escludere che come comunità nazionale si possa fare qualche ulteriore sacrifico: non accetto questi ultimatum e le chiusure egoistiche che li dettano.
Certo anche le più grosse disponibilità rischiano di infrangersi sulle chiusure di un triste “muoia Alitalia con tutti coloro che l’hanno gestita”. Per provare a risolvere problemi gravi e complicati bisogna volare basso e invece i lavoratori hanno irrazionalmente scelto di volare alto, così alto da andare fuori dalla realtà, così da mettersi in condizione di non aiutarsi e di non farsi aiutare. Una sconfitta in tutto e per tutti.