La storia è piena di intromissioni clericali ed ecclesiastiche nella politica. Cammin facendo, alla conquista spregiudicata del potere ed all’esercizio diretto, oscuro e cinico, dello stesso si è sostituita l’influenza esterna ed il perseguimento di privilegi, appoggi e vantaggi.
La ragion di Chiesa, nonostante le profetiche e benefiche aperture di Giovanni XXIII, le sofferte e profonde testimonianze di Paolo VI, il delicato e breve intermezzo di Giovanni Paolo I, gli universali annunci di Giovanni Paolo II, i rigorosi richiami dottrinali di Benedetto XVI (solo per richiamare le vicende vaticane a cui posso fare riferimento diretto), ha portato a sorvolare spesso e volentieri sui diritti umani violati o addirittura calpestati, a non affrontare di petto situazioni di gravi ingiustizie, a non combattere apertamente regimi dittatoriali, autoritari, repressivi, pur di salvaguardare le proprie aree di influenza e, talora, di ottenere un occhio di riguardo per i cristiani, ma soprattutto pur di mantenere le proprie fette di potere.
Pensiamo, da ultimo non ultimo, in Italia ai rapporti tra la Cei del cardinal Camillo Ruini ed il regime berlusconiano: tutto lecito, tutto concesso per il piatto di lenticchie delle agevolazioni fiscali, della scuola cattolica e della difesa di facciata dei cosiddetti principi non discutibili.
Indubbiamente il papato di Francesco ha segnato una svolta – non improvvisata e relativamente seminata anche da altri suoi predecessori e da altri uomini di Chiesa (si pensi per esempio al cardinale Carlo Maria Martini) – contrastata dall’interno, di separazione della Chiesa-istituzione dal potere nel rispetto reciproco degli ambiti di autonomia. Fino ad oggi la Chiesa era spesso finita nel gorgo della centralizzazione dei rapporti col potere, aveva scivolato di brutto, inciuciando con la peggior politica, aveva cercato compromessi col “diavolo”, mentre aveva stoppato i rapporti di base col “sociale”, riproponendo a questo livello quel proibizionismo così facilmente rimosso al vertice: della serie si può trattare con l’oppressore, ma non si può sposare la causa dell’oppresso. Con papa Francesco: Chiesa a porte chiuse verso il potere e in libera uscita verso i poveri. Un bel rovesciamento di prospettive, non c’è che dire.
Ma la politica non si rassegna, ha “bisogno” della Chiesa per strumentalizzarne l’influenza o per contestarne l’operato. Quando essa va in avanti, rischia di essere risucchiata all’indietro o quanto meno di essere tirata per la giacca. Proprio a Bologna, emblematica culla dei rapporti altalenanti tra politica e religione, si sono verificati due fatti, limitati nella loro portata, ma assai significativi.
Andrea Orlando, ministro e candidato alla segreteria del PD, va a colloquio con l’arcivescovo di Bologna Matteo Zuppi, uomo di Chiesa, interprete eccellente della non intromissione politica e della condivisione sociale. «Abbiamo parlato di lotta alla povertà, non di primarie. Si può guardare a Zuppi come a un punto di riferimento. Se non fosse rischioso direi anche politico» ha dichiarato incautamente Orlando dopo l’incontro avvenuto in sede Caritas. Se l’incontro, volendo, poteva anche starci, le dichiarazioni hanno suscitato non poche perplessità, dato il momento politico e il sospetto che il carisma di questo magnifico vescovo possa essere strumentalizzato. Mossa rozzamente azzardata, tatticamente sbagliata, goffamente inopportuna e mediaticamente pericolosa. Oltretutto scorretta nei confronti del vescovo, che si è visto indirettamente trascinato in un terreno che non è il suo. La solita politica che va alla ricerca della insolita Chiesa: se avevo dubbi e perplessità sulle capacità di Andrea Orlando ad assumere la guida del Partito Democratico, sono diventati certezze.
Il Bolognino, una simpatica rubrichetta della pagina bolognese de la Repubblica, ha così chiosato l’evento con un commentino a firma Federico Taddia: «Andrea Orlando, ministro e candidato alla segreteria del Pd, ha incontrato il vescovo Matteo Zuppi: gli ha chiesto se “Beati gli ultimi poiché saranno i primi” vale anche per le primarie».
Se da una parte esiste la tentazione di strumentalizzare il nuovo corso ecclesiale (aveva già maldestramente provato, qualche tempo fa, il sindaco di Roma, Ignazio Marino, prontamente e drasticamente rimbrottato dal Papa stesso), dall’altra emerge la rissosa verve contestatrice mossa, sempre a Bologna, dai centri sociali nei confronti di don Luigi Ciotti, protagonista di un’affollata conferenza-lezione all’Università. Utilizzando in modo vergognosamente strumentale la ormai storica frase “siamo tutti sbirri” pronunciata a Locri da don Ciotti, quale risposta ai rigurgiti di una certa cultura filo-mafiosa che lo aveva definito “sbirro” sui muri della città, il collettivo Hobo, dopo le scaramucce conseguenti alle misure di sicurezza adottate (chiuso l’accesso alla facoltà di Giurisprudenza), ha scritto su facebook: «Altro che “siamo tutti sbirri”, gli sbirri oggi sono gli sgherri del Pd, sono quelli che picchiano gli studenti in biblioteca, sono gli stessi che massacrano il Salento. Fuori dall’università gli sbirri e i loro amici! Da che parte sta don Ciotti lo sappiamo da sempre, ben prima che con il suo “siamo tutti sbirri” mettesse definitivamente la divisa della polizia alla cosiddetta “società civile”. Don Ciotti è da sempre, a Torino, l’uomo dello sfruttamento del sociale, della Fiat e della magistratura, l’amico di Caselli e dei santi inquisitori dei movimenti».
Farneticanti espressioni, piene di assonanze con i comunicati delle Brigate Rosse, echi di una stagione fortunatamente superata, ma conferma di un antagonismo stupido e di cattiva maniera, capace solo di distruggere senza alcuna capacità di costruire. Un altro modo per la politica militante di rispondere scriteriatamente e nostalgicamente all’impegno ecclesiale. Della serie i poveri sono nostri e guai a chi ce li tocca.
Don Ciotti ha replicato in modo piuttosto soft: «Lasciamo stare, io ho pronunciato quella frase davanti ai parenti delle vittime delle forze dell’ordine. Poi lo so anch’io che bisogna distinguere. Da anni questo corso riempie sempre l’aula: vuol dire che ci sono tanti giovani che vogliono conoscere, non vivere di informazioni di seconda mano o per sentito dire».
La Chiesa se si pone nei giusti termini evangelici dà fastidio ai potenti di turno (gerarchie religiose comprese), che tentano magari persino di blandirla, ma pure ai ribelli di comodo che la vivono come ingombrante antagonista; così come Gesù, osteggiato dai primi fino alla morte e beffeggiato dai secondi fino al tradimento.