Reati gravissimi che cadono in prescrizione nelle more di procedimenti giudiziari ventennali o giù di lì; una giustizia che non arriva mai o giunge quando la vittima è morta e sepolta, magari dopo essersi suicidata; una giustizia che si contraddice spesso e che, dopo avere consentito una gogna mediatica in capo agli indagati, arriva ad assolverli a distanza di anni, quando la frittata della loro dignità è stata cucinata, mangiata e digerita; una giustizia che “assolve” quando l’imputato si è già tolto la vita; una giustizia che crea continuamente corto-circuiti tra indagine e colpevolezza; una giustizia zeppa di errori che incidono pesantemente sulla vita e sulla carriera di persone indagate e/ rinviate a giudizio con leggerezza, per poi vedere le relative inchieste archiviate o i processi terminare con assoluzioni; una giustizia che funziona male o funziona “troppo bene”, che rovina persone innocenti e lascia in pace i colpevoli.
Questa è una innegabile, seppur parziale, realtà, che dovrebbe far riflettere la politica, i giudici e l’informazione: intorno a questi tre poteri si articola il gioco giudiziario nel nostro Paese. Purtroppo il dibattito è storicamente falsato in partenza per la grande responsabilità del berlusconismo che ha messo la politica in guerra con la magistratura: la politica a difendersi fuori dal processo, con attacchi alla categoria ed ai singoli giudici, a sottrarsi ai giudizi tramite il varo di frettolose leggi ad personam, mirate ad ostacolare il normale corso processuale (immunità, prescrizioni, etc.); la magistratura a proteggersi vendicandosi con accanimenti e rivalse e scendendo apertamente sul piano di guerra con i politici nemici più o meno giurati. Ricucire un rapporto talmente deteriorato non è e non sarà cosa facile.
Bisogna tuttavia provare ad uscire dalle reciproche trincee. Come? Prima di ogni e qualsiasi riforma bisogna che gli uomini politici investiti di incarichi pubblici accettino di essere sottoposti ad indagini e a processi, senza gridare immediatamente al complottismo, senza strumentalizzare i “guai” giudiziari degli avversari, senza voler influenzare minimamente il corso della giustizia.
A loro volta i giudici devono essere rigorosamente portati alla difesa della propria irrinunciabile autonomia, ma molto attenti ad evitare anche il minimo sospetto di intromissioni in campo politico, scegliendo tempi e modalità di intervento inattaccabili, accettando che il corso dalla giustizia possa e debba essere riformato senza gridare allo scandalo, senza arroccarsi nel bunker dell’Asociazione Nazionale Magistrati, senza sentirsi vessati e criticati se qualcuno osa sottolineare carenze e manchevolezze piuttosto evidenti se non addirittura macroscopiche, senza dire dei No pregiudiziali a qualsiasi nuova regola si profili all’orizzonte parlamentare o governativo.
I media devono lavorare rispettando la dignità delle persone e la verità, difendendo con le unghie e con i denti il loro diritto-dovere di raccontare i fatti, senza violare segreti, senza falsi scoop, senza calpestare alcuna garanzia per gli indagati, senza condannare immediatamente gli inquisiti sulle prime pagine dei giornali, senza soffiare sul fuoco del giustizialismo, senza fare di ogni erba un fascio, senza giocare sulla pelle della gente con le intercettazioni pubblicate a vanvera.
Ci sono alcuni punti in sacrosanta discussione legislativa: i tempi della giustizia, le carriere più o meno separate, i mezzi e le risorse umane da investire, la regolamentazione dell’uso delle intercettazioni, la segretezza dell’avviso di garanzia, la produttività dei magistrati, l’esercizio dell’azione penale o la richiesta di archiviazione entro un periodo relativamente breve rispetto alla fine delle indagini preliminari, i tempi della prescrizione, le carceri, le pene alternative, etc.
Se si continua a nascondersi dietro la stucchevole contrapposizione tra garantisti e giustizialisti, se ogni potere difende l’orticello in cui coltivare ed innaffiare i propri privilegi, se la politica vuole insegnare ai magistrati a fare le indagini e i processi, se i magistrati intendono parlare continuamente e minacciosamente nella mano del legislatore, se i giornalisti si divertono a fare casino in mezzo all’incrocio pericoloso tra politica e giustizia, non si va da nessuna parte: avremo una giustizia sempre più inefficiente e ingiusta, una politica sempre più politicante e intrigante, un’informazione sempre meno obiettiva e corretta.
Arriveremo cioè alle peggiori riforme costituzionali possibili e immaginabili: un terzo ramo del Parlamento che controlli l’operato dei giudici e dei media; un terzo ramo della magistratura, quello della magistratura cincischiante e invadente che si aggiunga a quella requirente e giudicante; un quinto potere, quello dell’informazione falsa e taroccata, che si sovrapponga al quarto, quello della stampa tradizionale. Poi faremo un referendum e magari, questa volta, vinceranno i Sì. Così va il mondo…