L’onda lunga della pedofilia non cessa di colpire la Chiesa cattolica in diverse parti del mondo. È una piaga davanti alla quale la gerarchia rischia di fare la parte del medico pietoso che la rende puzzolente.Intendiamoci, è stata superata la fase in cui l’emergere di questo marciume veniva considerato come un pretestuoso ed esagerato attacco alla Chiesa tutta, tramite malevole generalizzazioni e senza fare i doverosi distinguo. L’istinto puramente difensivo si è esaurito, ma non ha ancora fatto posto definitivamente allo schierarsi inequivocabilmente dalla parte delle vittime degli abusi, alla adozione di severe procedure volte a chiarire e ad intervenire sulla realtà dei fatti e al doveroso ricorso alla giustizia civile.Innanzitutto va posto in assoluta priorità il discorso della difesa delle potenziali vittime e dell’aiuto alle vittime conclamate: in questi giorni stanno venendo a galla vicende che dimostrano come certi sotterfugi e silenzi (non parliamo di coperture…) possano avere, seppure indirettamente, favorito la reiterazione degli abusi sui minori. Occorre nel modo più assoluto che l’autorità religiosa competente ai vari livelli trovi il coraggio di affrontare queste situazioni a gamba tesa, facendo decisamente pulizia e passando le questioni alla magistratura inquirente per quanto di competenza.Non si tratta di criminalizzare o di mettere alla gogna, ma di eliminare ogni e qualsiasi residuo di marciume. Prima viene il dramma delle vittime, poi l’accertamento delle responsabilità, poi il dramma dei preti caduti in questo gorgo tremendo. Non bisogna invertire le priorità, fare confusione, sgattaiolare fuori dalla verità. Resta a mio giudizio troppo forte il timore dello scandalo e la paura che dietro, dentro o a latere di queste emergenti denunce, possa esserci la volontà o comunque il rischio di colpire nel mucchio, di coinvolgere persone innocenti o comunque sostanzialmente estranee. La delicatezza delle questioni impone senza dubbio grande equilibrio e correttezza, ma questi atteggiamenti non devono mai minimamente pregiudicare l’accertamento della verità con tutte le conseguenze del caso.Penso tuttavia che bisognerebbe cercare di chiudere la stalla prima che i buoi scappino, meglio ancora sarebbe che non ci fossero né la stalla né i buoi. Mi riferisco al discorso del come un prete viene educato alla sessualità e del come poi la vive. Rimane più di un’ombra al riguardo: l’obbligo del celibato può nascondere alla lunga una repressione tale da sconfinare nella perversione; i rapporti con l’altro sesso devono essere totalmente sdoganati e liberati da ogni e qualsiasi fobia: la donna non è un demonio, ma la più bella creatura che Dio abbia fatto, il suo capolavoro; il sesso è un dono meraviglioso che Dio ci ha fatto e noi lo dobbiamo vivere con amore, gioia ed entusiasmo, senza sensi di colpa; il sacerdote, come ogni altro uomo, deve operare le sue scelte che possono prevedere anche il celibato, ma non solo e per sempre; l’introduzione, a pieno titolo, della donna nel discorso sacerdotale, oltre che essere una valorizzazione per la donna stessa e un arricchimento per la Chiesa, potrebbe superare il maschilismo strisciante e persino auto-reprimente, che ancora alberga e che può essere il brodo di coltura di discriminazioni e financo di perversioni. Non mi convince chi sostiene che non ci sia alcun collegamento tra l’obbligo del celibato e la pedofilia. C’è poi anche il problema dell’omosessualità, che non può essere nascosto e tanto meno condannato, ma affrontato e vissuto in modo culturalmente aperto: se ammettiamo la presenza dell’omosessualità tra i laici, perché non ammetterla tra i chierici.Discorsi delicati, ma ineludibili. Tutti guardano a papa Francesco ed auspicano che abbia il coraggio e la determinazione di affrontarli senza tentennamenti. Diciamocelo però sinceramente: non basta, non è giusto e non è ecclesiale. Ognuno nella Chiesa-Istituzione e nella Chiesa-Comunità deve prendersi le proprie responsabilità: preti, laici, vescovi, cardinali, uomini, donne, famiglie, associazioni, parrocchie, diocesi, conferenze episcopali. Tutti. Benedetto XVI, prima ancora di essere nominato papa, aveva preso coscienza della triste realtà della pedofilia e non solo. Molto probabilmente anche questa drammatica consapevolezza lo avrà condizionato nella scelta, peraltro molto ammirevole, di dimettersi. Papa Francesco ha avviato percorsi nuovi anche in queste materie. Parola d’ordine: niente ipocrisia. Gesù aveva nel mirino gli ipocriti, non li poteva sopportare. Sì, è questa la peggior macchia ecclesiale, la madre di tutti i mali. Bisogna uscirne in tutto e per tutto. Invece siamo ancora lì a discutere se e come concedere l’accesso alla comunione ai divorziati risposati, se smetterla o meno di chiedere la castità agli omosessuali che decidono di accoppiarsi stabilmente, se i rapporti prematrimoniali siano da considerare un peccato e soprattutto se la coscienza individuale sia la migliore bussola e l’amore sia l’unica fondamentale regola di comportamento, se la Chiesa sia una comunità di fede, se il Cristianesimo sia un Dio che si è fatto uomo. Con tutte le nostre regole religiose sappiamo fare solo dei disastri.