Della diatriba sui conti pubblici italiani e del conseguente continuo tormentone nei rapporti con l’Unione Europea voglio cogliere l’essenza, ponendomi un quesito: ha ragione la Ue a tormentarci sul debito e sul deficit richiamandoci rigorosamente agli impegni assunti o ha ragione l’Italia a chiedere maggiore flessibilità al fine di crescere e così migliorare i propri conti.
Per rispondere a questa domanda vado a prestito da un episodio accadutomi durante la mia lunga esperienza professionale. Era stato fatto un pignoramento a carico di un artigiano-collaboratore di una cooperativa: era pieno di debiti e faticava a pagarli al punto che un creditore parti in quarta intendendo sequestrargli il compenso che percepiva. La cooperativa da me assistita si recò all’udienza davanti al pretore per sapere come si sarebbe dovuta comportare, esprimendo nell’occasione seria preoccupazione per il rapporto che rischiava di essere compromesso. Il giudice, dopo avere attentamente ascoltato le parti, si rivolse al legale che difendeva gli interessi dei creditori insoddisfatti e gli disse con molta franchezza: «Se questo artigiano, sequestrandogli tutto il compenso, non lo fate mangiare e non gli consentite di continuare la sua attività, sarà ben difficile che possa pagare i debiti. Quindi riformulatemi le vostre richieste nei limiti di una ragionevole parte degli emolumenti».
Che il debito pubblico italiano sia enorme è cosa indiscutibile. Gli esperti sostengono, guardando il grafico del suo andamento nel tempo, che sia esploso durante gli anni del consociativismo: i partiti chiedevano e i governi concedevano con eccessiva facilità. Penso non sia giusto giudicare così sbrigativamente quel periodo storico che consentì comunque alla società italiana di contrastare il terrorismo e di fare notevoli passi avanti. Tuttavia occorre riflettere sul dato dell’esplosione del debito pubblico anche e soprattutto per verificare se questo indebitamento sia servito a migliorare le condizioni di vita dei cittadini o se sia andato sprecato nel calderone di una spesa pubblica senza controllo. Ma non è questo il discorso attuale. Il debito quindi c’è, ma per pagarlo, o almeno riportarlo a livelli accettabili rispetto alla ricchezza prodotta nel Paese (il Pil), bisogna che l’Italia sia messa in grado di crescere nella sua economia altrimenti…
Né più né meno il discorso di buon senso del pretore di cui sopra. Anche lui, codice alla mano, avrebbe potuto consentire il pignoramento totale (tra l’altro il pignorato non era un lavoratore dipendente, ma un artigiano imprenditore), ma superò col ragionamento la regola. I parametri europei quindi non andrebbero applicati ragionieristicamente, ma politicamente calati in un contesto problematico ed in continua evoluzione (immigrazione, terremoti, contingenze varie).
Oltretutto sarebbe opportuno che chi fa la faccia feroce con gli Stati in difficoltà si ricordasse di rappresentare uno Stato che si è trovato in passato in gravissime difficoltà ed è stato aiutato: mi riferisco alla Germania nel secondo dopo-guerra e all’atto della riunificazione tra est e ovest. Se gli Stati Uniti e i Paesi vittoriosi della guerra si fossero comportati con la severità che oggi la Germania adotta verso i suoi attuali partner, probabilmente dopo oltre settant’anni i tedeschi starebbero ancora pagando i danni e i debiti relativi e forse della riunificazione non se ne sarebbe fatto nulla. Ma la memoria fa difetto, è corta…Come si ricorderà anche il Vangelo contiene una parabola al riguardo: quel tale che, dopo aver ottenuto con suppliche il condono dei suoi enormi debiti, incontra un suo piccolo debitore e lo vuol strozzare se non pagherà immediatamente.
Ciò non toglie che l’Italia debba mettere ordine nei propri conti con una gestione oculata a livello di entrate e di uscite. E qui viene il bello. Meno tasse o più tasse. Meno spese e più investimenti. Meno sprechi e più produttività. Sacrifici ed equità. Lacrime e sangue.
Il commento lo lascio fare a mio padre. Non era un economista, non era un sociologo, non era un uomo erudito e colto. Politicamente parlando aderiva al partito del buon senso, rifuggiva da ogni e qualsiasi faziosità, amava ragionare con la propria testa, sapeva ascoltare ma non rinunciava alle proprie profonde convinzioni mentre rispettava quelle altrui. Volete una estrema sintesi di tutto cio? Eccola! Anche oggi, riflettendo ad alta voce di fronte alle difficoltà economiche dello Stato italiano direbbe: «Se tutti i paghison e i fisson col c’lè giust, as podriss där d’al polastor ai gat…».