Banche sull’orlo del precipizio? Risparmiatori gabbati? Governi inetti? Banchieri disonesti o incapaci? Politica succube della finanza? Finanza impoverita dalla politica? Europa pronta a farci le pulci sulle nostre banche e a sorvolare su quelle degli Stati europei considerati forti? È giusto salvare le banche utilizzando fondi pubblici? Il sistema di controllo sugli istituti di credito ha funzionato? Tutti quesiti all’ordine del giorno, con la solita aggiunta di enfasi e l’induzione al panico che i media usano quando vogliono creare audience in materia economica. Basti pensare che quando le borse registrano andamenti negativi si parla di “bruciatura di miliardi di euro di capitale”, mentre quando volano, la parola stessa lo dice, creano solo l’illusione di miliardi di euro. Nessuno spiega che trattasi di ipotesi virtuali con la speculazione in agguato e i reali andamenti economici solo sullo sfondo. Ma torniamo alle banche.Parecchio tempo fa mi raccontavano di un incontro informale tra amministratori pubblici della provincia di Parma: un pianto cinese sulle difficoltà finanziarie dei comuni e sulle ristrettezze delle loro comunità. Ad un certo punto uno dei partecipanti sbottò e cominciò ad esprimersi in dialetto, adottando uno spontaneo e simpatico intercalare, scaricando colpe a più non posso sul sistema bancario reo di compromettere sul nascere ogni e qualsiasi intento di ripresa: «Parchè il banchi, ät capi…» diceva a raffica e giù accuse agli istituti di credito. A volte la politica tende a scaricare sue responsabilità su altri soggetti, ma è pur vero che i detentori del potere finanziario tendono a condizionare scorrettamente la politica, magari dopo avere creato disastri (gli esempi sono numerosi a tutti i livelli, Vaticano compreso). Succede in Europa, in Italia, a Parma.Le difficoltà presenti nel sistema bancario italiano sono note: la presenza nei bilanci delle banche di crediti deteriorati, vale a dire di difficile recupero a causa dell’annosa crisi economica che ha investito soprattutto alcuni settori; la debolezza del capitale e la necessità del rafforzamento richiesto a gran voce in tutte le sedi competenti; l’alta esposizione bancaria verso i titoli del debito pubblico; la debolezza strutturale di molti istituti di credito per i quali sono necessarie cure dimagranti a livello di costi e di sportelli in eccesso e processi di ristrutturazione societaria e aziendale. Queste croniche deficienze bancarie hanno già creato e continuano a creare enormi contraccolpi sui soci finanziatori, frenano la concessione del credito alle imprese, tengono col fiato sospeso i mercati finanziari, creano grossi problemi ai governanti italiani alla spasmodica ricerca di eccezioni alle regole, vale a dire di flessibilità nella loro applicazione e di straordinarie possibilità di intervento pubblico. Le banche in buona sostanza hanno poco capitale e molte sofferenze, oltretutto non sempre sono state gestite con la necessaria correttezza e con la dovuta professionalità, in troppi casi hanno prevalso conflitti d’interesse, decisioni clientelari, controlli leggeri.Il forte deterioramento dei crediti bancari italiani non è giustificato solo dall’andamento economico generale particolarmente negativo nel nostro Paese. Alcuni pensano male e, come al solito, probabilmente indovinano: dipende, dicono, dall’alto tasso di clientelismo annidato nella gestione del credito bancario. Non mi illudo che la commissione d’indagine varata dal Parlamento sulle magagne delle banche e sul comportamento dei banchieri possa chiarire granchè. Staremo a vedere…Mi è capitato poche volte, a titolo professionale, di seguire pratiche per la concessione di crediti alle imprese: ho tuttavia sempre trovato un atteggiamento bancario estremamente rigoroso, un sistema istruttorio rigido, una eccessiva pretesa di garanzie reali e/o personali, una pignola valutazione dei progetti a monte delle richieste di finanziamento. Forse c’erano due pesi e due misure, forse anche le garanzie reali si sono sciolte come neve al sole, forse qualcuno ha giocato sporco sul fronte bancario e anche su quello imprenditoriale. Sul punto della correttezza e professionalità dei banchieri italiani vorrei spendere due parole per andare (quasi) controcorrente: un tempo ormai abbastanza lontano gli amministratori di parecchie banche erano di diretta nomina partitica, i loro comportamenti erano ovviamente e direttamente influenzati dalle forze politiche, la clientela poteva essere all’ordine del giorno, ma prima o poi questi signori rispondevano politicamente alla matrice elettorale da cui provenivano. Oggi i banchieri non rispondono più a nessuno: ai soci? alla Consob? alla Banca d’Italia? alla Bce? ai mercati? alla magistratura? A tutti e a nessuno! Aggiungiamoci il peggioramento del quadro etico complessivo e allora…forse andava meglio quando andava peggio. Fuori la politica dalle banche, si disse. Sì, fuori la politica e dentro? Il sistema delle fondazioni, il sistema cooperativo, il sistema capitalistico puro non hanno offerto un quadro alternativo di riferimento attendibile e tranquillizzante. Fatto sta che le banche italiane vantano crediti, in misura molto significativa e pesante, verso realtà imprenditoriali tutt’altro che solvibili.Una seconda questione riguarda il comportamento dei governi che si sono succeduti negli ultimi anni: perché ci si è intestarditi a non intervenire a sostegno delle banche nel periodo in cui gli altri paesi europei, Germania in testa, lo hanno fatto, enfatizzando quella salute bancaria che col tempo si è rivelata assai precaria. Forse, coi fondi pubblici, eravamo troppo esposti su altri fronti (pensioni etc.); forse non avevamo quel minimo di credibilità che ce lo potesse consentire (eravamo già troppo derogati); forse qualcuno non è stato troppo lungimirante e ha operato scelte di mera sopravvivenza (adesso può essere facile dirlo). Abbiamo perso il treno dell’aiuto alle banche quando era relativamente più facile salirci sopra (ora il biglietto è salato, soprattutto per azionisti e obbligazionisti degli istituti di credito). È pur vero che, se il governo italiano fosse intervenuto negli anni scorsi, si sarebbe gridato allo scandalo: si chiedono sacrifici ai poveri per dare aiuto ai ricchi. Discorso che, qua e là, viene fatto, non senza qualche obiettiva validità, anche oggi. Bisogna pur chiarire che il sostegno alle banche in difficoltà non comporta da parte dell’erario un esborso a fondo perduto, è una sorta di investimento ad alto rischio che crea problemi di liquidità ma sul momento non di compatibilità economica.Come al solito tocca a Mario Draghi togliere le castagne dal fuoco: il presidente Bce opera con impareggiabile tempismo, con la solita prudenza e con perfetta consapevolezza del proprio ruolo. Innanzitutto ha detto che il nodo da affrontare è quello della redditività del sistema creditizio: le banche cioè devono essere gestite con criteri economici e, se lo spread fra tassi attivi e passivi tende a ridursi, sarà un oculato e assennato allargamento dei cordoni della borsa a garantire maggiori ricavi complessivi. Ma il presidente della Bce ha anche affermato che a Francoforte non esiste più alcun tabù su un eventuale intervento pubblico a sostegno delle banche in difficoltà. È una misura molto utile finché è gestita nel rispetto delle regole europee, che prevedono tutta la flessibilità necessaria per gestire circostanze d’emergenza e la montagna di crediti deteriorati, e negoziata con la Commisione Ue. L’importante è agire più in fretta che si può per far sì che le misure di politica monetaria si trasmettano meglio all’economia reale.Meno male che c’è Draghi! Riesce ad aiutare l’Italia senza favoritismi; non difende a spada tratta la Bce e tanto meno il proprio ruolo all’interno della stessa, ma addirittura auspica l’istituzione di un ministro del Tesoro europeo che ridimensionerebbe il ruolo politico di supplenza svolto dalla Banca Centrale; crede nell’Europa federale ed è convinto del ruolo preminente della politica e delle istituzioni politiche rispetto alla finanza; sostiene, nei limiti delle sue possibilità, una linea creditizia espansiva a favore della ripresa economica.«Parchè il banchi, ät capi…». «Sì, mo Draghi…».