Non vorrei essere troppo condizionato dalla nostalgia obamiana, ma aspetto con terrore l’inizio della presidenza americana di Donald Trump. Spero nel noto detto che dice: “A volte il diavolo è meno brutto di quanto si possa pensare”.È vero che, come sosteneva Aldo Moro, le spie sono i peggiori soggetti esistenti e quindi la Cia (altro non è che un covo di spioni) penso abbia un’attendibilità piuttosto limitata, tuttavia quanto emerge dal suo rapporto in ordine alle interferenze russe nella campagna elettorale statunitense aggiunge una luce sinistra alla imminente già preoccupante epopea trumpiana.Il presidente entrante considera questa indagine una caccia alle streghe e la vicenda viene da lui retrocessa a mera guerra tra spie che non avrebbe comunque influito sul voto.Ammettiamo pure che la questione sia così come la mette Trump. Resta comunque il dato inquietante – non tanto quello che i servizi segreti russi siano riusciti a trafugare le email al partito democratico (gli hackeraggi e i cyber-attacchi sono all’ordine del giorno a tutti i livelli), né che i russi avessero l’obiettivo di minare la fiducia dell’opinione pubblica americana nel processo elettorale democratico e di denigrare Hillary Clinton (tra nemici storici ci può stare anche il boicottaggio) – che è costituito dalle prove del coinvolgimento degli uomini di Putin per “pilotare” le elezioni Usa a favore di Trump e dal fatto che i servizi segreti americani abbiano intercettato diversi funzionari russi i quali hanno esultato per la vittoria del tycoon considerandola un successo geopolitico e congratulandosi al riguardo fra di loro.Donal Trump insomma piace molto alla Russia di Putin e a tutti i più retrivi e assurdi politici al di fuori degli Usa che lo attendono con ansia (Netanyahu in testa), più che agli americani i quali avrebbero una voglia matta di fare marcia indietro (le manifestazioni contrarie a Trump si sprecano anche se questo attivismo protestatario del poi avrebbe fatto meglio a sfogarsi nel voto elettorale del prima) e, sbollita la sbornia, rimpiangono già Barack Obama (i sondaggi danno ad Obama il massimo grado di approvazione dei presidenti in uscita) al punto da attaccarsi alle lacrime di Michelle (lei gode addirittura del favore di due americani su tre) come un bambino impaurito si attacca alla gonna della mamma. Strano Paese gli Usa, la più grande e contraddittoria democrazia che rischia di mettere la parola fine alla democrazia, elegge a presidente, con una netta minoranza di voti, un pazzo che vuol portare indietro le lancette della storia, un uomo che forse interpreta al meglio proprio tutte le contraddizioni di un popolo allo sbaraglio, un innovatore che mette al posto del tanto bistrattato establishment statale il suo entourage, che protegge i posti di lavoro a livello nazionale mettendo sul lastrico gli occupati o gli occupandi del resto del mondo, che lascia intendere di voler governare sulla base di un chiaro motto: ognuno per sé, Trump per tutti.Questa simpatia, peraltro comprensibile, di marca russa non è certo di buon auspicio per una cordiale intesa tra leader in cerca di pace, non è la premessa per un incipiente gentleman agreement fra le due superpotenze, ma, a mio giudizio, è la sconcertante base per un ignobile connubio tra due personaggi spregiudicati, capaci, con l’aiuto delle loro reciproche oligarchie e sull’onda dei poro populismi, di fare i propri sporchi e loschi affari, spartendosi il potere sulla pelle del mondo intero.Spero di sbagliarmi, ma considerata la storia, lo stile e il programma di questi leader, c’è di che essere molto preoccupati. Se la democrazia è appesa ai fili di Putin e Trump, non ci resta che sperare nella Cina, visto che l’Europa tende all’inesistenza. Oppure sperare che due soggetti in mega-conflitto di interessi possano perseguire l’interesse del mondo: il ragionamento che fecero gli Italiani dando fiducia a Berlusconi. Magari nel nuovo quadro internazionale tornerà ad essere protagonista anche lui: amico di Putin lo è, di Trump fa presto a diventarlo (la somiglianza persino fisica è sorprendente), e noi Italiani avremo un motivo in più per sperare: la speransa di mäl vesti, cha faga un bón invèron.