Non esistono risposte semplici a problemi complessi. La politica data in pasto ai referendum comporta inevitabilmente disastri. Il referendum sulla riforma costituzionale, che ha assunto inevitabilmente connotati squisitamente politici, ha portato ad un risultato che, al di là della valanga di No (a cosa? a tutto!), rivela enormi contraddizioni e butta il Paese nella confusione. Basta ascoltare le reazioni propagandistiche rilasciate a caldo dai vincitori, che fanno discorsi diametralmente opposti l’uno all’altro: Salvini (Lega) è pronto per mettere al governo il suo populismo fatto di antieuropeismo, di nazionalismo, di protezionismo (la brutta copia del trumpismo e/o del lepenismo); Grillo (insolitamente cauto) mette in mostra i suoi falsi gioielli che sono pronti a schierare il loro populismo fatto di antipolitica, di contestazione globale al sistema, di “onestà, onestà”; Massimo D’Alema ed alcuni esponenti della cosiddetta sinistra dem farneticano su un diverso PD, che vedono solo loro, alla ricerca del tempo perduto e vocato all’insignificanza politica come sta succedendo in tutto il resto d’Europa; quel che resta delle macerie berlusconiane parla lingue diverse a seconda dell’ipotetico leader che dovrebbe risuscitare il morto; la sinistra ultras continua imperterrita a giocare la sua assurda, paradossale e storica battaglia navale, alleandosi ai nemici per affondare gli amici.Il referendum ha funzionato da ghiotto sfogatoio della rabbia sociale fine a se stessa, buttando a mare l’unico tentativo possibile di governare un cambiamento epocale e ripiombando il Paese nel nulla delle proprie crisi.Complimenti a quanti si sentono vincitori (di cosa?). Qualcuno vagheggia di grandi coalizioni alla tedesca o alla spagnola: francamente non le vedo possibili al di fuori delle esercitazioni dei commentatori affamati di scenari fantapolitici.A questo punto il Paese appare ingovernabile, a meno che i populisti a destra e manca non si uniscano subdolamente in un ignobile connubio che ci porti lontano dall’Europa e ci butti nelle braccia di Trump.Molti agitavano strumentalmente in campagna elettorale lo spauracchio di una svolta autoritaria: non avevo certo queste paure prima e durante il referendum, ma adesso nel disorientamento totale invece temo anche questo. La storia è piena di risposte antidemocratiche al diffuso e qualunquistico disagio sociale. Speriamo bene…Ci resta solo la saggezza, l’equilibrio e la credibilità di Sergio Mattarella: spero in lui, anche se non ha la bacchetta magica, ma è forse l’unico in Italia che attualmente riesce a combinare politicamente cuore e cervello. Ci saprà allontanare dalla pancia?Altro, a caldo, dell’Italia non saprei narrare. Mi sento un’Italiano che viene fuori d’ora a importunare la politica (parafrasi di Boheme atto primo “Mi chiamano Mimì).I SS. Mattarella e UENel 2011 la caduta di Berlusconi fu sostanzialmente gestita dalla Ue in collegamento col Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e/o viceversa. Fu una sacrosanta intromissione che portò ad un faticoso e doloroso rientro della nostra finanza pubblica nei parametri comunitari di affidabilità con la conseguente ritrovata relativa fiducia sui mercati finanziari. Allora l’Europa nutriva una irridente sfiducia nei confronti del governo italiano e ci volle un brusco cambio di governo con le maggiori forze politiche coinvolte in una larga maggioranza emergenziale: un capolavoro di Napolitano che riuscì a far fuori Berlusconi pur coinvolgendolo nell’appoggio, obtorto collo, al governo “lacrime e sangue” di Mario Monti.Oggi si è venuta a creare una situazione diversa che tuttavia rimette al centro della scena gli stessi protagonisti di allora: la Ue e la Presidenza della Repubblica. L’Italia con Matteo Renzi aveva conquistato una certa fiduciosa attenzione a livello europeo, l’andamento economico segnava una seppur modesta inversione di tendenza, era stato avviato un processo di riforme interessante che riportava il Paese nel novero dei partner fondamentali al rilancio post-brexit, il Pd rappresentava la forza politica di sinistra più forte che dava credibilità al socialismo europeo, il nostro Paese riusciva ad ottenere, anche se faticosamente, una certa pragmatica revisione del rigore a favore di una ripresa economica favorita con investimenti pubblici e con una visione più morbida del risanamento dei conti. Ma Renzi, mentre profetizzava a Bruxelles, non riusciva a fare altrettanto in patria arrivando a raccogliere una sonora sconfitta elettorale tramite la debacle referendaria di bocciatura della riforma costituzionale.Le reazioni a livello europeo sono improntate al rincrescimento e alla preoccupazione per la quasi certa uscita di scena di Renzi. Scrive Alberto D’Argenio al riguardo: «I vertici comunitari e le Cancellerie – che fino all’ultimo hanno tifato per il Sì – hanno già recapitato al Quirinale e a Palazzo Chigi i loro messaggi. Primo, soluzione rapida della crisi per evitare che l’Italia torni ad essere capace di far tremare la moneta unica. Secondo, “continuità”. In una stagione di profonda crisi europea, l’Unione non vuole perdere un interlocutore privilegiato. Gli strumenti di pressione per arrivare a una soluzione gradita l’Europa ce li ha. Ci sono 5 miliardi di buco nella manovra che la Ue può pretendere o meno a seconda del governo in carica. Così come un eventuale salvataggio delle banche andrà negoziato con Bruxelles». Senza contare lo scudo della Bce con l’acquisto dei nostri titoli di Stato.Ebbene finirà che la soluzione della crisi di governo sarà (giustamente e fortunatamente) condizionata dalla Ue, costretta a parlare nella mano a Mattarella. Sarà la migliore delle ipotesi, i due santi a cui votarci. Non c’è che dire, una bella vittoria per chi da anni rompe i coglioni blaterando contro l’establishment europeo, per chi è affetto da sovranismo acuto, per chi da tempo vede con sospetto l’invadenza dell’Europa. Seguiamo il ragionamento dei populisti nostrani, prendiamolo un attimo per buono (mi fa schifo, ma…): tanto andò la gatta al lardo…dopo il referendum saremo infatti ancor più in balia della Bce e dei poteri forti continentali (e ancor bene se non ci manderanno a quel Paese).I vincitori del No si sono montati la testa e credono di essere diventati l’ombelico del mondo a trazione trumpiana: «Or che bravi siamo stati possiamo fare di testa nostra!!!». No, perché in Europa c’è chi è più bravo di voi e a loro dico “grazie Ue”.La caciara di CacciariMassimo Cacciari, come al solito, non si fa pregare a sputare sentenze. Con la sua solita divertente vis polemica analizza spietatamente la sconfitta di Renzi al Referendum. Innanzitutto sostiene: «Con le capre pazze” è impossibile ragionare e la prima è il presidente del consiglio che ha condotto questa battaglia referendaria con istinti suicidi. Personalizzando come ha fatto, ha coalizzato tutte le opposizioni trasformando il referendum sulla Carta in un referendum su di sé. Se l’avesse condotta pacatamente questa campagna, senza la propaganda faraonica su tutte le reti della tv di Stato, il risultato sarebbe stato diverso».Sì, sarebbe stato diverso, ancor più negativo per lui e per l’Italia. I referendum politici sono tali e non si possono gestire in punta di diritto. C’era in atto un processo riformatore complesso e articolato di cui i mutamenti della Carta erano una sorta di precondizione. Cosa doveva fare Renzi? Come quella ragazza che era incinta appena un pochettino? Ha giocato la sua partita fino in fondo, al di fuori dei tatticismi di cui anche Cacciari è un fustigatore convinto. I suoi oppositori giocavano sporco a tutto campo e lui avrebbe dovuto porgere l’altra guancia? Ma caro professore, mi faccia il piacere…Non capisco poi perché a Renzi si contesti l’uso dei media: siamo in un mondo mediatizzato all’inverosimile e quindi, bene o male, bisogna starci dentro. Obama vinse le presidenziali con l’uso dei media, Trump invece pure. Il problema non è questo. Anche perché bisogna riconoscere a Renzi una certa abilità nell’uso dei media. Caro professore, anche lei non disdegna interviste, dibattiti, presenze in video, etc. etc.: caso mai quindi chi è senza peccato scagli la prima pietra.L’analisi di Cacciari prosegue sulle motivazioni del No: «Il Paese ha votato con la pancia, pieno di rabbia? Non si tratta di pancia né di mente. L’Italia, come quasi tutti i Paesi occidentali, non ne può più di un establishment che non riesce a risolvere i problemi concreti, quali il declino del ceto medio e l’assenza di mobilità sociale. Gli slogan non possono più coprire l’inadeguatezza. Amplissimi settori dell’elettorato non ne possono più delle forze tradizionali che governano. Non si tratta di populismi…cosa c’entra? È il popolo che è stanco di questa situazione».Sarei d’accordo se il popolo avesse scelto fra due schieramenti, uno vecchio e incapace e uno nuovo e promettente. Non è così. Nel fronte del No erano ben rappresentati, anche se mal miscelati, tutti i politici falliti della storia passata e recente, anche quelli di sinistra (i vari D’Alema e Bersani), che ripetutamente il professor Cacciari ha invitato a ritirarsi quali rappresentanti di generazioni che hanno fatto cilecca. Fino a prova contraria Matteo Renzi e il suo gruppo dirigente non sono assimilabili a questo vecchiume da cui viene il marcio dei tanti problemi irrisolti che creano profondo disagio sociale. Non sono perfetti, ma hanno sicuramente meno responsabilità di quanti oggi si atteggiano a paradossali vincitori nelle urne di battaglie perse nella storia. Gli unici con la fedina politica pulita (?) potrebbero essere i 5 stelle? Ma lei professore ha dimenticato di averli ripetutamente e coloritamente apostrofati con un drastico e condivisibile “il movimento cinque stelle è Grillo, dietro di lui non c’è niente”. Allora gli Italiani, come tutti i cittadini dei Paesi occidentali devono darsi una sana calmata per tornare alla razionalità della battaglia politica, perché il rischio populista esiste e prende corpo. In fin dei conti poi il professor Cacciari si corregge immediatamente quando afferma: «Non avevo previsto la vittoria del No, perché pensavo che prevalesse tra gli indecisi una certa paura di andare a stare peggio, cosa che avverrà. Avevo sottovalutato il senso di frustrazione». A parte il fatto che farsi condizionare dalla frustrazione non porta a niente di buono, non penseremo che il responsabile di questo stato d’animo diffuso e dilagante sia Renzi, il politico che negli ultimi tre anni ha cercato disperatamente proprio di dare una scossa al Paese per sottrarlo da questo senso di impotenze e di rassegnazione rabbiosa.A Renzi viene insomma addebitato tutto: «La responsabilità di questo risultato è al 99% del presidente del consiglio Renzi e della sua scriteriata presunzione. Ha creduto che il referendum sulla riforma costituzionale fosse il terreno buono su cui porre la propria egemonia. Ha perso la scommessa, ma ha così condotto il Paese in una situazione di grande difficoltà».Se la mettiamo sul piano della presunzione, si salvi chi può, in politica, ma anche nelle altre professioni (magistrati, burocrati, giornalisti, sindacalisti, accademici compresi). Che ne direbbe professore di approfondire una pista di analisi proprio sulle corporazioni toccate nel vivo e sulle loro responsabilità nell’immobilismo di ritorno e nel fallimento del tentativo renziano. Il referendum era il terreno su cui porre non tanto l’egemonia (termine filosoficamente riferibile a ben altre scuole di pensiero, non certo a quelle a cui fa riferimento la prassi renziana), ma l’inevitabile giudizio dei cittadini al quale bisognerebbe sempre rimettersi (a Renzi si continuava a contestare la mancata consacrazione elettorale, per poi quando la tenta accusarlo di scriteriata scommessa…).Infine viene il futuro politico di Renzi: «In Italia c’è stata una legge sul divorzio e nel PD lo capiranno: Renzi si farà il suo partito, gli altri il loro e potrebbe essere la soluzione ragionevole per rilanciare il centro sinistra: da un lato il patto di centro con Renzi e Ncd, all’altro la sinistra».Cos’è il contentino finale? Nella concitazione inevitabile del dopo-referendum ricadiamo negli schemi usurati. Se è tutta qui la spinta culturale al rilancio della sinistra… Nossignore, la sinistra o è capace di rispondere al mondo, che è cambiato, con idee e proposte concrete, altrimenti, se si rifugia nelle solite combinazioni, è perdente in partenza. Quella ipotizzata da Cacciari altro non è che una edizione riveduta e scorretta dell’ulivo. Anche perché ci sarà sempre un D’Alema di turno che butta all’aria tutto. Chiedere conferma a Romano Prodi.