In questi giorni, insulsamente post-referendari, sto vivendo una battaglia, tutta personale e interiore, contro editorialisti, commentatori politici, giornalisti, cronisti, politologi, esperti, etc. etc. Innanzitutto ho dovuto notare un repentino cambio d’atteggiamento piuttosto generalizzato: si è girata l’aria e allora tutti in libera uscita per riprendersi quella libertà di espressione, che, per la verità, nessuno aveva loro tolto o conculcato (non credo infatti alla favola della oppressiva mano renziana sui media: né più né meno di quanto succede per tutti i governi di questo mondo), ma che essi stessi avevano sacrificato sull’altare della piaggeria e dell’opportunismo.Renzi è diventato un personaggio da riporre in cantina, accompagnato da una serie di dotte e insopportabili analisi del senno di poi. Contemporaneamente non si può parlar male del fronte del No perché da questo groviglio di personaggi e programmi (?) potrebbe spuntare il nuovo potere a cui genuflettersi precipitosamente: i grillini sono improvvisamente diventati cantierabili; i leghisti sono considerati legittimi portatori sani del virus populista; i forzitalioti vengono salutati come perspicaci aghi della bilancia pre-elettorale; i democratici invece sono diventati recalcitranti e fastidiosi portatori di grosse responsabilità governative ed istituzionali; gli appartenenti alla sinistra dem sono finalmente visti come salvatori della patria sociale; persino i sinistrorsi più accaniti trovano attenzione e riguardo, insperati fino a qualche giorno fa.I più sofisticati analisti, tra cui eccelle Ezio Mauro per accattivante e sbrodolante capacità di onniscienza, elaborano le linee del salvataggio facendo quadrare il cerchio con la loro abilità di dire contemporaneamente tutto e il contrario di tutto, condito con una punta di acredine accumulata nel recente passato. Al riguardo, merita una menzione speciale Francesco Merlo, giornalista impareggiabile, che però riesce sempre ad aggiungere ai suoi pezzi una stomachevole cucchiaiata di cattiveria. Questa volta ce la metto anch’io nel leggerlo: pochi giorni prima del referendum si era improvvisamente smarcato dalla Rai, che lo aveva ingaggiato nella squadra di rinnovamento editoriale varata da Campo Dall’orto (nuovo plenipotenziario messo in campo da Renzi). Una presa di distanza che ha liquidato genericamente e frettolosamente ogni e qualsiasi intento riformatore in sede Rai: Merlo è uscito sbattendo la porta con un radicale respingimento della situazione troppo condizionata e frenata, in cui sarebbe impossibile lavorare seriamente per una seria riforma. Arriva il referendum, sui risultati del quale sicuramente Francesco Merlo conosceva per tempo tutti i sondaggi possibili e immaginabili, e si smarca. Due giorni dopo il voto ci scodella un paginone su la Repubblica dedicato, con la solita ostentazione culturale, ma con pesante intendimento malignamente distruttivo, alla metamorfosi renziana, da rottamatore a potente, dal renzidiprima al renzidipoi, da uomo della novità a scarafaggio della conservazione. Questa kafkiana virata non mi è piaciuta e alla fine anche il dottissimo autore del pezzo deve aver sentito un rimorso, al punto da concedere al presidente del consiglio l’onora delle armi scrivendo: «E però, poiché nella fine c’è sempre la perfezione dell’inizio, l’altro ieri Renzi ha dimostrato di saper perdere, di essere ancora un capo nel Paese dei maggiordomi e dei militanti ossessivi. Domenica notte, con accanto Agnese che lo rendeva elegante, Renzi ha provato che si può vincere perdendo. Sia pure per il tempo di un discorso, il renzidiprima infatti ha avuto la meglio sul renzidipoi». Nella coda niente veleno, già sparso in precedenza a piene mani, ma un po’ di dolce… Mi viene spontaneo porre una domanda: «Non è per caso che nel Paese dei maggiordomi e dei militanti ossessivi sia finito malauguratamente anche Francesco Merlo?».Da questo insano esercito si salvano in pochi. Tra i salvabili mi sento in dovere di citare Michele Serra, che, al sempre notevole sforzo di obiettività storica e di autocritica personale , aggiunge un tocco di classe, una punta di polemica garbata e mai offensiva: Ha scritto due giorni dopo il fattaccio: «Ovviamente , nel vuoto politico, sarà il famigerato establishment a dirigere il gioco, con viva meraviglia di chi saluta il trionfo del No come sconfitta dell’establishment. Si spera che Mattarella non sia Napolitano-tris e cerchi la maniera di andare finalmente a votare, magari perfino con una legge elettorale scelta nel ricco bouquet disponibile. Nel frattempo le vedremo tutte: il ritorno trionfale di Berlusconi e D’Alema (nella categoria “Nuove proposte”), Salvini che trumpeggia, Grillo che sospende i vaffanculo per darsi un tono da statista. Quanto alla proposta di Micromega di un governo Rodotà-Zagrebelsky sono entusiasta, a patto che l’Economia vada a Rosa Luxemburg, la Cultura a Catullo e lo scudetto all’Inter». Ho catalogato questa meravigliosa “Amaca” aggiungendole il titolo: “Il dopo referendum è tutto qui”.Io, allergico per indole mentale e per rigidità generazionale, alle scorribande sui social, devo ammettere che gli sfoghi a questo livello sono molto meglio delle sofisticate e irritanti analisi dei politologi. Ne riporto alcuni assai acuti e interessanti. “Adesso ci becchiamo un governo tecnico, dati alla mano sarà lacrime e sangue, perché noi siamo specialisti solo a demolire, a costruire nessuno è capace”. E ancora: “Non interpretava la mia concezione di sinistra, ma Renzi ha tentato di cambiare le cose”. Un altro scrive: “Ogni volta che sentirò un grillino parlarmi di tagliare gli enti inutili o i costi della politica, gli accarezzerò teneramente la testa”. La polemica continua: “Qualcuno ha avvertito Salvini che il referendum non era Roma-Lazio?”. In chiusura di questa breve rassegna: “Bene, ora ribeccatevi D’Alema, Berlusconi, Brunetta, Amato, Prodi, Meloni, Salvini, Santanchè. L’Italia che avanza, nuove facce alla ribalta…”. Filosofia spicciola da web, forse molto meglio della scatenata accademia degli scrittori d’occasione.Il Paese degli spaesatiDai reportage sul disagio sociale, che avrebbe trovate facile sfogo nel No del voto referendario, emergono tutte le proteste accumulate e represse da tanto tempo: la loro origine risale a molto prima dell’avvento di Renzi al potere. Prescindo dal merito di queste reazioni impulsive: si va dalle barricate anti-profughi ai dimenticati (?) delle aziende in crisi, dalla frustrazione giovanile all’emarginazione periferica. Se dobbiamo dare in questo senso un significato socio-politico al referendum, rischiamo di farlo diventare lo sfogatoio (o sfigatoio) degli arrabbiati: una ghiotta occasione per gridare nelle urne, pur sapendo che non servirà, anzi ciò comporterà un ulteriore arretramento parolaio della politica, che illude e non risolve nulla.Nel passato, ormai piuttosto remoto, i partiti avevano, oltre la capacità di rappresentare il disagio e i problemi della gente, anche la funzione di educare gli iscritti e gli elettori alle regole di funzionamento della politica. Mancano entrambe queste mediazioni e se ne sente tutta la drammatica mancanza. Ciò che partiva dalla pancia era convertito alle idealità a livello del cuore e culturalmente tradotto a livello cerebrale. Niente di tutto ciò: qualcuno ha addirittura invitato gli elettori a votare solo ed elusivamente con la pancia. Invito purtroppo accolto.Adottando questo nuovo stile(?) a livello di elettori ed eletti, siamo entrati ufficialmente nella peggiore Europa. I populisti ci guardano con rispetto e interesse, ci strizzano l’occhio, ci incoraggiano e ci stimolano a proseguire su questa strada, che ormai tocca tutti i maggiori Paesi dell’Europa, per non parlare degli Usa. Tutti ad applaudirci: gli euroscettici di destra protagonisti in Gran Bretagna, Francia, Germania, Austria, Olanda. Ma la sconfitta di Renzi è stata festeggiata anche dagli euroscettici di sinistra. In Spagna si rallegra il partito Podemos. «Occorre ora costruire l’Europa della gente», ha detto Inigo Errejon, il numero due del partito viola, che vede nella sconfitta di Renzi la “caduta dell’establishment europeo”. In Francia, Iean-Luc Mélenchon vede nel risultato addirittura il “fallimento della social-democrazia”. Un tempo si diceva: “Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei”.